
[rating=5] Coco Schumann, interpretato dall’attore Paolo Panaro, porta in scena una ricca testimonianza storica sulla Musica “degenerata”, quella Musica nuova, dal Jazz alla Dodecafonia della seconda Scuola di Vienna, a quella popolare ebraica che non si conformava, certo, alla Musica dei grandi compositori tedeschi, Wagner in primis, tanto esaltati dal nazionalsocialismo prima e dal regime nazista dopo.
E con Coco Schumann ci addentriamo in quello spaccato drammatico tedesco e, più in generale, europeo, con Hitler, Goebbels, Mengele e il Reich, alla rievocazione di quelle persecuzioni e quegli stermini razziali contro le “culture subumane giudaiche, bolsceviche e negroidi” perpetrare dai nazisti, secondo i quali tali “razze” non potevano e non dovevano integrarsi con la razza “pura” tedesca.
Un viaggio della e nella Memoria dell’Umanità per ricordare il Giorno della Memoria, il 27 gennaio. Ideatore della serata la spalla dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, il M° Yehezkel Yerushalmi. Al suo fianco Pier Paolo Pacini che ha scritto il testo della rappresentazione e ne ha curato la regia, il M° Luca Logi, già archivista della Fondazione, che ha diretto l’Ensemble dei tredici strumentisti del Maggio – Yehezkel Yerushalmi, Ladislao Horvath, Alessandro Alinari (violini), Igor Polesitzky (viola), Patrizio Serino (violoncello), Riccardo Donati (contrabbasso), Gregorio Tuninetti (flauto), Marco Salvatori (oboe), Riccardo Crocilla (clarinetto), Gianfranco Dini (corno), Andrea Dell’Ira (tromba), Gregory Lecoeur (percussioni), Susanna Bertuccioli (arpa) – e le voci di Sarina Rausa e Nicolò Ayroldi e ha realizzato gli adattamenti dei brani di Ernst Krěnek e Giacomo Meyerbeer.
La serata, patrocinata dalla Comunità Ebraica di Firenze, dall’Associazione Italia-Israele e dall’Ambasciata di Israele in Italia, si è svolta al Piccolo Teatro del Maggio Musicale Fiorentino.
La sinergia delle diverse Muse ha trascinato il pubblico in un’Opera-Musical cameristica “degenerata”, permettendo di apprezzare larga parte di quelle sfaccettature di un mondo culturale relegato alla clandestinità e all’emigrazione, ma vivo, chiaro e radicato nel Reich e nel mondo intero, dal Vecchio al Nuovo continente.
Spetta a Giovanni Verona e al suo pianoforte aprire la serata con “La melanconia” , il secondo dei Trois nocturnes caractéristiques per pianoforte op. 45 di Henri Herz (1803-1888), compositore e pianista ebreo, naturalizzato francese. Il carattere malinconico del brano prelude alla tristezza, all’oblio profondo. Ma grazie a ciò Herz ha saputo cogliere e anticipare i tumulti dell’animo umano del XX secolo.
Da Herz a Ernst Krěnek (1900-1991), passaggio delineato da Coco Schumann con l’aiuto del grande schermo. Il soprano Sarina Rausa interpreta Jetzt ist die Geige mein [Ora il violino è mio] dall’opera Jonny spielt auf op. 45 [Jonny guida la danza, op. 45], nelle vesti di Anita, la cantante d’opera protagonista che viene sedotta, attraverso la Musica, da Jonny, il violinista nero ebreo. Opera odiata dai nazisti proprio perché Jazz Opera, quel genere culturalmente considerato inferiore, e, successivamente, bandita dai teatri di Austria e Germania, costringendo il compositore ad esiliare negli USA perché considerato “bolscevico della cultura” e “artista degenerato”. Anita, affiancata dal baritono Nicolò Ayroldi, nei panni di Jonny, si sono esibiti sotto la guida del M° Logi e accompagnati dal tredicimino strumentale.
E con Coco Schumann si torna al classico, alla musica decadente tedesca, al Trio per pianoforte, violino e violoncello op. 35 n. 3 di Robert Kahn (1865-1951) interpretato dall’ideatore della serata, da Patrizio Serino al cello e da Giovanni Verona al piano. Il brano è costruito secondo gli stilemi tardoromantici, da ricordarsi infatti che il compositore – pianista e direttore d’orchestra ebreo tedesco, emigrato in Inghilterra durante il regime nazista – ha frequentato Johannes Brahms, Joseph Joachim e Hans von Bülow, solo per citarne alcuni. Nei due movimenti proposti – Moderato e Andante sostenuto – l’ispirazione melodica, ora pensante e sognante ora venata da tristi presagi, si sposa con le peculiarità dei singoli strumenti esaltandone i colori e i timbri, ora lirici ora drammatici.
L’Inghilterra fu la seconda patria anche per Berthold Goldschmidt (1903-1996) compositore ebreo tedesco, amburghese per la precisione, le cui composizioni sono ancora tardoromantiche, alla maniera di Bruckner. Nella sua Fantasy per oboe, violoncello e arpa ci troviamo difronte ad una personalità che da una parte è ancorata alla tonalità, alla tradizione tonale, dall’altra sperimenta il teatro narrativo moderno, con passaggi espressivi, tinti di acceso verismo.
Da Goldschmidt a Giacomo Meyerbeer (1791-1864) con l’Aria del sonno “sui miei ginocchi” dall’Africana, l’ultimo grand-opéra, rappresentato postumo, nel 1865, e inserito in questo viaggio musicale della Memoria per le origini ebraiche del compositore e per omaggiarlo nel 150° anniversario dalla sua morte (1864-2014). È una grande personalità per la storia dell’opera perché, nelle sue creazioni, riesce a fondere mirabilmente e in modo “incomparabile”, per dirla alla maniera di Isaac Moscheles (1794-1870), gli elementi delle scuole italiana, francese e tedesca, da Gioachino Rossini, a Giuseppe Verdi, a Richard Wagner. L’Aria del sonno di Sarina Rausa, accompagnata dall’Ensemble nell’adattamento musicale del M° Logi, porta in scena il soprano drammatico di Sélika, la schiava-regina di una popolazione indigena, innamorata del conquistadores portoghese Vasco de Gama, ma costretta al suicidio – si uccide annusando i fiori velenosi dell’esotico manzanillo – per lasciare che si realizzi l’unione della coppia europea Vasco-Inés.
Ammiratore di Meyerbeer, Isaac Moscheles studia con Antonio Salieri, collabora con Franz Liszt, con Henry Joseph Fétis e, come afferma Coco Schumann, è l’inventore del recital-evento culturale. Dal suo Settimino in Re Maggiore op. 88 risuona l’Allegro con brio nel quale spiccano sull’Ensemble i virtuosi dialoghi del violino di Yehezkel Yerushalmi con il clarinetto di Riccardo Crocila, permeati dalle influenze popolari della tradizione boema di origine unita a quella tedesca di adozione.
La romanzata Opera-Jazz “degenerata” di Coco Schumann si conclude con Eduard Lassen (1830-1904), compositore ebreo danese, per anni direttore del Festival tedesco di Weimar, del quale sono proposti due Lieder per soprano e pianoforte – Ich hette einst ein schönes Vaterland e April – mentre sul grande schermo scorrono i nomi e i volti delle più grandi personalità musicali del mondo ebraico, eliminati da quella cultura tedesca che voleva rendersi pura e incontaminata dalle culture subumane.
Un significativo contributo artistico alla Memoria, una lettura originale della Musica “degenerata”. Perché oscurarla e bandirla, perché non accostarla ai grandi classici? Per fortuna qualcuno lo ha fatto (Alfredo Casella) e continua a farlo (Heinz “Coco” Schumann).
Di ritorno a Torino dagli Stati Uniti, Alfredo Casella scrive «Fra tutte le impressioni sonore che un musicista può aver provato negli Stati Uniti, quella che domina ogni altra per la sua originalità, la sua forza di novità e anche di modernismo, la sua enorme dotazione infine di dinamismo e di energia propulsiva, è senza dubbio la musica negra, il jazz […]. Arte fatta innanzitutto di ritmo, di un ritmo brutale spesso, altre volte invece dolce e lascivo, ma ritmo sempre di una forza barbarica che smuoverebbe un cadavere, ritmo che per la sua ostinazione, la sua tremenda forza motrice , ricorda non di rado le pagine più eroiche di Beethoven o di Stravinskij, ritmo infine che sembra – difronte alla nostra decadente, super raffinata musica europea – risuscitare la frenesia, la energia orgiastica di Dyonisos». Ed ecco allora che il Jazz, secondo Casella, può andare a braccetto con le concezioni di Nietzsche.
L’ideatore della serata, la spalla dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, M° Yehezkel Yerushalmi, rievocando la drammaticità del passato e, purtroppo, dei nostri giorni, ha voluto unire musicalmente Vecchio e Nuovo Mondo, facendo parlare il quasi novantenne Heins “Coco” Schumann, la sua Musica che racconta la Shoah attraverso il Jazz, la sua vita di sopravvissuto ai campi di sterminio grazie all’abilità chitarristica, ai virtuosismi jazz delle sue dei corde e della batteria, che lo hanno salvato dalle sperimentazioni di Mengele.