Himmelweg: la via del cielo, cioè dal treno all’“infermeria”

[rating=3] Una scarpa diversa dall’altra, cappello con paraorecchie, vestito sdrucito, i pantaloni a contatto con la gelida terra, quando la luce lo colpisce sembra un sacco di stoffa. Il povero delegato della Croce Rossa sente delle voci che lo disturbano, cerca di giustificarsi. Parla a noi, o forse alla sua coscienza, mentre un rimpianto o un rimorso lo tortura da anni, condannandolo ad un’esistenza a metà, sempre con il pensiero rivolto a come sarebbe stata la sua vita se solo avesse visto qualcosa di diverso e soprattutto scritto qualcosa di diverso nel suo rapporto. Nel 1944 è semplicemente entrato in un “parco paradisiaco”, dove “la gente mi guarda in modo strano, mi evitano” ma tutto sommato non trova ciò che sta cercando: “mi aspettavo gente con il pigiama a righe, cosa mi aspettavo?!? […] non ho visto niente di anormale”. All’interno del campo di concentramento tutto era stato attentamente predisposto per la sua visita: gli ebrei, al comando del generale tedesco, avevano ritinteggiato tutto, piantato nuovi fiori, ognuno di loro aveva una piccola particina nell’enorme messinscena per convincerlo che l’Olocausto non esiste, che gli ebrei venivano deportati ma fondamentalmente trattati bene. Durante la visita qualcosa non lo convince, “tutto mi pare falso come la voce del sindaco”, i bambini che giocano sembrano innaturali anche per le cose che dicono, si respira un’aria strana, come di attesa. Ma non può di sicuro affermare di aver visto gli ebrei maltrattati: “riscriverei tutto, parola per parola”, “anche se avessi potuto scrivere un’altra cosa, niente sarebbe cambiato”. Razionalmente assolve sé stesso ma emotivamente continua a condannarsi: “ma come hai fatto a non vedere niente?!”

Himmelweg - la via del cielo

Dopo la visita, lo spettacolo analizza come si è arrivati a quella messinscena: il generale ha attentamente scritto il copione e scelto gli attori, ha creato e tagliato scene, ha ripetuto più e più volte la sua parte e ha aiutato a trovare “il personaggio” a tutti gli ebrei che lo circondano, trattando con il loro rappresentante. Chi non lo accontenta sul set è ben facile intuire che fine ha fatto. Sullo sfondo, una serie interminabile di treni che alle 6 del mattino in punto trasportano centinaia di persone fino all’infermeria: l’unica traccia che lasciano è una persistente colonna di fumo e chili di cenere che viene sversata in fiume. Graffianti le frasi del generale, “Alla tua gente gli costa così tanto sorridere?!”, “sorridi e finirai per essere felice”.

“Se recitiamo bene, rivedremo la mamma di nuovo, su uno di questi treni”.

Himmelweg - la via del cielo

Il testo molto forte di Juan Mayorga, uno dei migliori drammaturghi spagnoli contemporanei, ci trasporta in un mondo di finzione: sentiamo l’odore della morte ma non la vediamo, ascoltiamo parole che tendono a manipolare ma siamo noi stessi bersaglio di quella mistificazione (il generale prova la sua parte proprio rivolgendosi a noi del pubblico). Mayorga non mostra i drammi dell’olocausto direttamente, non racconta le storie degli ebrei internati, non vuole fare un documento storico, piuttosto ci fa annusare la finzione, ottenuta per mezzo delle parole, del rapporto fra vittima e carnefice, dove i giochi di potere non sono mai brutali e violenti ma sempre velati. Il generale rincuora a più riprese il rappresentante degli ebrei, che farà la parte del sindaco, “il tuo monologo è cresciuto”, gli dà pacche sulle spalle ma sempre dall’alto del suo potere. Quando questi minaccerà di rivelare al visitatore tutta la verità, il generale non lo minaccia come ci si potrebbe aspettare, semplicemente insinua nell’ebreo il dubbio: “il gesto sarebbe compreso? […] Se il visitatore non comprendesse il significato di quel simbolo?” Anche quando “la gente ha bisogno di sapere cosa possono aspettarsi” la risposta è melliflua: “la vita è incertezza…”

Himmelweg - la via del cielo

Testo non facile ma rappresentato bene; la recitazione e la regia, così come le luci, sono di buon livello (un po’ sporcano i ragazzi delle medie inferiori e superiori che sono troppo falsi perfino per recitare la falsità della messinscena), ma forse con qualche taglio scena in più nella seconda parte, quella delle prove, avrebbe fatto sentire meno la pesantezza anche dell’argomento trattato.

a.vezzosi@fermataspettacolo.it

1 COMMENTO

  1. mi fa piacere che le sia piaciuto, considerando che non so di preciso in che contesto lei ha visto lo spettacolo mi consenta di dirle questo. provi lei a rappresentare una scena del genere con sole due prove o tre senza nemmeno il testo completo…

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