L’Enfant et les sortilèges: quando la modernità si traveste da fiaba

Al Festival di Martina Franca la seconda e ultima opera lirica di Maurice Ravel

L’enfant et les sortilèges - © Festival della Valle d’Itria - ph Clarissa Rapolla

Viviamo stasera la nostra terza serata qui a Martina Franca, protagonista l’arte che si confronta con la grande questione dell’amore e dell’odio tra le persone e i popoli: con Guerre e pace questo tema, di grande attualità, viene affrontato, al 51° Festival della Valle d’Itria che si svolge in questa Città dal 18 luglio al 3 agosto 2025, non solo in senso storico o bellico, ma soprattutto esistenziale, etico e psicologico, metafora delle tensioni interiori, dei conflitti sociali e del desiderio di riconciliazione.

Perché viviamo in un’epoca segnata da guerre globali e intime, e l’arte può essere un linguaggio per resistere, comprendere, pacificare, afferma Silvia Colasanti, nuova direttrice artistica nel comunicato ufficiale in cui viene illustrato il tema principale della manifestazione.

Così, mentre Benjamin Britten compose Owen Wingrave (la recensione è qui) per la BBC TV nel 1971, in piena epoca Vietnam, e fu letta come un manifesto contro la violenza e l’autoritarismo familiare, Tancredi di Gioachino Rossini, recensito qui, è l’esempio classico di un’opera che oppone guerra e amore: il protagonista è un eroe esiliato, diviso tra il dovere militare e l’amore per Amenaide.

È stata la volta, ieri sera, invece, di un’opera unica nel panorama lirico, L’Enfant et les Sortilèges: fiaba psicoanalitica, ode all’immaginazione infantile e insieme summa della poetica di Maurice Ravel, cela, dietro l’ironia e il gioco, una profonda riflessione sull’identità, la crescita e la responsabilità affettiva. È un’opera che parla ai bambini e agli adulti, con la lingua universale della musica e della meraviglia, di certo un manufatto artistico tra i più singolari e affascinanti del repertorio del primo Novecento, frutto della collaborazione tra Maurice Ravel e Colette, a sua volta voce originalissima della letteratura francese.

Opera breve, che fonde elementi fiabeschi, psicologici e simbolici, offrendo molteplici livelli di lettura, musicale, storico, drammaturgico e filosofico: nonostante l’apparente leggerezza, profonda e complessa, come in un sogno infantile, in cui convivono terrore, stupore, grazia e redenzione, ispirando coreografi, registi e artisti visivi per la sua straordinaria ricchezza immaginativa. L’Enfant et les Sortilèges fu completata da Ravel tra il 1919 e il 1925, con la prima esecuzione a Monte Carlo il 21 marzo 1925, diretta da Victor de Sabata.

L’enfant et les sortilèges – © Festival della Valle d’Itria – ph Clarissa Rapolla

Il libretto fu scritto da Colette, inizialmente su invito dell’editore Jacques Rouché per un balletto cantato, ma fu completato solo dopo la Prima guerra mondiale. Il clima del dopoguerra influenzò profondamente la poetica di Ravel: da un lato la nostalgia per l’infanzia perduta e per un mondo di innocenza, dall’altro la volontà di esplorare nuove forme e linguaggi musicali, anche in chiave leggera, surreale, persino ironica. L’opera riflette anche la fascinazione francese per l’esotismo, per la miniatura giapponese, per il simbolismo e per il surrealismo nascente.

Il palco allestito nel Chiostro antico di San Domenico risulta alla fine diviso in due, uno spazio scenico a destra e uno a sinistra, lasciando il centro, tranne un esile passaggio sul fondo, alla piccola orchestra, solo qualche strumento per la versione da camera: basta un flauto contralto, percussioni ricercate, un violoncello e un pianoforte a quattro mani, strumenti anche insoliti – il rattle, le fruste – per l’adattamento di Didier Puntos che ricrea a perfezione echi lontani e suggestioni, onomatopee della natura, giochi incrociati e calembour, in un susseguirsi di sorprese che vanno illustrando i sortilèges che affollano la notte dell’enfant, come in quella favola del buon vecchio Andersen in cui il folletto Serralocchi ricreava per il bambino buono i mondi favolosi ed esotici del regno dei sogni, come si sa d’incerta sostanza.

I colori sono vividi, la casetta dalle pareti gialle protegge l’enfant che dorme per poi, però, subito disfarsi sotto la rabbia capricciosa del bambino che maltratta oggetti e animali: si animano, allora, quegli stessi bersagli di violenza inconsapevole, parlano, cantano, se pure a modo loro.

La regia di Rita Cosentino, grazie anche al sostanziale contributo delle coloratissime scene e ai costumi di Francesca Cosanti predilige un’accentuata stilizzazione tutta giocata su colori tenui e tratteggio infantile, che ben si armonizzano con le atmosfere fiabesche della musica e della partitura: compie così, il bambino (una bravissima Elena Antonini), un vero e proprio viaggio iniziatico dalla rabbia al pentimento, sorta di itinerario formativo, processo educativo interiore che ben rappresenta il passaggio dal narcisismo all’altruismo, vero incantesimo che, alla fine, grazie a un gesto di comprensione e di generosità, libera il bambino dal suo egotismo.

L’enfant et les sortilèges – © Festival della Valle d’Itria – ph Clarissa Rapolla

La rappresentazione stilizzata in modo infantile dei vari oggetti o animali che costituiscono i sortilegés viene sorretta e animata da ciascun interprete, in tuta scura: il risultato è una messa in scena visualmente ricca, che richiama, in una sorta di pot-pourri semplice ma efficacissimo elementi da teatro d’ombre, marionette, animazioni, tecniche mutuate dal mondo infantile e fantastico; e poi i ruoli, tranne il principale, son tutti doppi o addirittura tripli – un cantante interpreta più personaggi – e ciò accentua il tono metamorfico, da sogno surrealista.

L’opera è punteggiata di evocazioni del tempo che scorre, di oggetti antichi e di ricordi (l’orologio, il libro, la tappezzeria), con un senso crepuscolare e nostalgico, mentre la ribellione del mondo “inanimato” diventa una potente metafora della coscienza ecologica e del rispetto per l’alterità. Nonostante l’apparente leggerezza, questo Enfant et les Sortilèges si rivela, allora, a chi siede in platea, opera profonda e complessa in cui, come in un vissuto infantile, convivono terrore, stupore, grazia e redenzione.

Nella prima parte sono gli oggetti della stanza ad esser maltrattati e a ribellarsi, ognuno col suo significato che va oltre l’apparenza, per chi lo sa leggere: Le Fauteuil et la Bergère (La poltrona e la sedia) rappresentano – parodia del menuet e del rococo – la cultura borghese, l’educazione formale, la noia domestica, le buone cose di pessimo gusto, come L’Horloge comtoise (Orologio a pendolo) che scandisce il tempo perduto creando un’atmosfera ossessiva che fa eco allo stesso Ravel della Laideronnette in Ma mère l’Oye; La Tasse chinoise, la Théière, (la Tazza, la Teiera) sono chinoiserie con citazioni da musica esotica, incluso un falso cinese cantato, mentre Il Feu (Il Fuoco) seduttivo e pericoloso, accusa il bambino di aver giocato con lui, rischiando l’incendio, richiamando il fuoco di Salomé o le flamme d’enfer di Berlioz.

Culmina, la prima parte, con la scena de Le Chiffres (Le cifre aritmetiche), affidata al Coro di voci bianche della Fondazione Paolo Grassi diretto da Angela Lacarbonara, in cui i numeri del quaderno di matematica prendono vita, parodia del controcanto scolastico dal ritmo meccanico e ossessivo.

L’enfant et les sortilèges – © Festival della Valle d’Itria – ph Clarissa Rapolla

La seconda parte si svolge invece nel giardino incantato: qui entrano in scena gli animali e la natura, le vere vittime dell’Enfant, l’atmosfera diventa più poetica e malinconica, il tono si sposta dalla farsa alla tenerezza e alla catarsi. Così Le Chatte et le Chat (La gatta e il gatto) imbastiscono tramite una pantomima dai richiami rossiniani un momento di vita animale affettuosa cui l’Enfant assiste da spettatore estraneo ma irresistibilmente attratto; La Rainette, la Libellule, l’Écureuil, la Chauve-souris, l’Arbre (la rana, la libellula, lo scoiattolo, il pipistrello, l’albero) creature del giardino che cantano la loro sofferenza a causa della crudeltà dell’Enfant che ha ferito, spezzato, disturbato la loro esistenza.

Il momento decisivo è il gesto di compassione: il bambino soccorre uno scoiattolo ferito, un atto gratuito, non richiesto, che rompe il ciclo egocentrico dell’azione-reazione in cui l’Enfant riconosce l’esistenza e la dignità dell’altro: il canto finale del Coro – L.A. Chorus, Lucania & Apulia Chorus diretto da Luigi Leo – segna la riconciliazione con la figura materna e con la vita affettiva, un ritorno al grembo, ma con nuova consapevolezza, l’infanzia termina, e inizia la possibilità della crescita.

È Myriam Farina che dirige con estro e autorevolezza questa partitura, vero e proprio laboratorio sonoro che sperimenta timbri, stili e forme, anticipando molte conquiste del teatro musicale novecentesco e ponendosi al crocevia tra impressionismo, neoclassicismo, ironia post-romantica e suggestioni jazzistiche: suo il merito di mantenere e sostenere una scrittura orchestrale continua e coerente dichiaratamente anti-wagneriana, anti-sviluppo sinfonico, avvicinandosi piuttosto al teatro d’immagini di Debussy e alle ricerche del teatro breve novecentesco da Stravinsky a Hindemith.

Così i passaggi da uno stile all’altro vengono risolti con sperimentata tecnica camaleontica e con grazia al tempo stesso ironica e poetica: un eclettismo stilistico che interpreta a perfezione il caleidoscopio timbrico che costituisce il vertice assoluto dell’arte orchestrale di Ravel. Si cimenta, la piccola chambre orchestra, imitando suoni naturali o oggetti (ticchettii, ronzii, fruscii), anticipando la musica concreta ed evocando sinestesie, come nella scena della rana o dei pipistrelli, grazie anche all’uso esteso di strumenti rari come celesta, eolifono, raganella, flexatone, luthéal: la tonalità non è mai stabilmente funzionale, ma fluttuante e psicologicamente caratterizzata, modi arcaici, scala esatonale, bitonalità, poliarmonia, armonie quartali.

Un teatro musicale d’insolito sapore che traveste la modernità con i panni della fiaba: molti applausi per tutti, alla fine, per questo allestimento giovane e fresco tanto da sembrare contemporaneo, anticipando le tecniche del musical moderno, del teatro musicale europeo e persino della colonna sonora cinematografica.

PANORAMICA RECENSIONE
Regia
Direzione
Solisti
Orchestra
Scenografia
Costumi
Pubblico
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lenfant-et-les-sortileges-quando-la-modernita-si-traveste-da-fiabaL’enfant et les sortilèges <br>di Maurice Ravel <br> Direttore, Myriam Farina <br> Regia, Rita Cosentino <br> Scene e costumi, Francesca Cosanti <br> L’Enfant, Elena Antonini <br> Maman/La Libellule/L’Écureuil, Manami Maejima <br> La Bergère/La Chouette, Barbora Kršiaková <br> Le Feu/Le Rossignol, Chiara Maria Fiorani <br> La Princesse, Virginia Genovese <br> La Chatte/La Tasse chinoise/Un Pâtre, Ambra Biaggi <br> La Chauve-souris/Une Pastourelle, Yue He <br> Le Fauteuil/Un Arbre, Nicola Ciancio <br> L’Horloge comtoise/Le Chat, Konstantinos Stafylides <br> La Théière (Wedgwood noir),/Le Petit Vieillard/La Rainette, Joaquín Cangemi <br> Le Banc/Le Canapé/Le Pouf/La Chaise de paille/Les Chiffres, Coro di voci bianche della Fondazione Paolo Grassi diretto da Angela Lacarbonara <br> Les Pastoures/Les Patres/Les Rainettes/Les Bêtes/Les Arbres, L.A. Chorus, Lucania & Apulia Chorus diretto da Luigi Leo <br> Giulio Francesconi, flauto <br> Federica Del Gaudio, violoncello <br> Anastasia e Liubov Gromoglasova, pianoforte <br> In scena dal 19 al 28 luglio 2025 <br> Durata 45 minuti <br> Martina Franca, Chiostro di San Domenico, 28 luglio 2025