Il Concerto dell’ONCI al Teatro Petruzzelli

Al Teatro Petruzzelli di Bari l'evento speciale del Concerto dell'Orchestra Nazionale dei Conservatori Italiani

È un’Orchestra particolare, quella che abbiamo avuto modo di ascoltare ieri al Teatro Petruzzelli di Bari, peculiare pur nell’ambito delle formazioni giovanili: formata, attraverso una dura selezione, dai miglior studenti dei Conservatori italiani, l’ONCIOrchestra Sinfonica Nazionale dei Conservatori Italiani – è una realtà che, ormai da diversi anni, si pone come paradigma della formazione musicale italiana. Dopo la selezione, infatti, si tiene uno stage ad alto livello e poi una serie di concerti, sotto la direzione di Maestri di chiara fama, che diventano così, insieme, occasioni di alta professionalizzazione e opportunità di conoscenza e promozione della formazione musicale italiana.

Così, anche questo Concerto di Bari ha dato al pubblico la possibilità di poter ascoltare la compagine diretta da un grande nome internazionale come Alexander Lonquich: il Maestro tedesco, artista di gran sapienza e cultura, è, da sempre, non solo raffinato interprete pianistico, ma elegantissimo direttore d’orchestra, ricercato esegeta soprattutto del periodo romantico e pre-romantico, come nella serata di ieri, che lo ha visto nella doppia veste di solita e direttore nell’interpretazione appassionata e misuratissima del Concerto n. 4 per pianoforte e orchestra in sol maggiore, op. 58 di Ludwig van Beethoven e, poi, nella direzione impetuosa della Sinfonia n. 9 in do maggiore “La grande” D. 944 dell’amato Franz Schubert. Il primo brano, composto nel 1805, quando Beethoven stava lavorando, contemporaneamente, alla Quinta sinfonia, mostra subito – e non sembri secondario orpello, vista l’estrema eleganza che la caratterizza – l’innovazione formale che nettamente la distanzia dal passato: l’allusivo e sorridente tema romantico, caratteristico per l’inciso a note ribattute, intimistico e luminoso, viene enunciato dal pianoforte e poi ripreso dagli archi, realizzando un rapporto tra solista e orchestra, che sarà tale per tutto il concerto, di colloquio più che di contrapposizione.

 

Tutto sembra così congiurare perché la tecnica di Lonquich, a dir poco formidabile, possa risaltare al maggior grado possibile, dal tocco perfetto che, pure, si risolve talora in qualche fugace asprezza, a certi attacchi d’apparente virulenta provocazione, agli arpeggi che si rincorrono affastellandosi e dotandosi di forza propria, per poi esitare a sorpresa in raffinati cantabili che non diresti: soprattutto, mostra di saper governare l’inquieta seppur classica materia con gran maestrìa, sia seduto sulla panca del gran coda, sorvegliando ansioso con la coda dell’occhio l’entrata dei giovani orchestrali, sia alzandosi in piedi nei passi di sola orchestra, quando necessiti. In tal modo questa pagina così importante, insieme alla gran varietà di modulazioni, alla molteplicità dell’intensità comunicativa, alla trasparente e perfetta orchestrazione, rende conto anche alla nostra contemporaneità del suo enorme valore, come scrisse l’Allgemeine Musikalische Zeitung del maggio 1809, «il più ammirevole, il più singolare, il più artistico e difficile di tutti quelli che Beethoven ha scritto».

Ai molti applausi il direttore concede il bis, un dei Phantasiestücke opera 12 di Robert Schumann, quel Des Abends che dei Pezzi fantastici apre e dà il tono generale dell’intera raccolta, che nel ritmo quieto e crepuscolare de La sera, crea un’atmosfera intima e sognante. La seconda parte, dopo un breve intervallo, ci immerge nel mondo inquieto della Sinfonia “Grande” di Schubert che, come spesso succede con i veri capolavori, chiude un’era, in questo caso, a posteriori, quella del classicismo, per aprirsi profeticamente all’era nuova de mondo che sarà. Delle Sinfonie di Franz Schubert che sono giunte a noi, solo le ultime due, l’”Incompiuta” e la “Grande”, sono opere d’autore maturo, giunto al pieno possesso dei propri mezzi espressivi. L’ultima sinfonia di Schubert va datata 1825-28. La si sarebbe dovuta eseguire a Vienna subito dopo la morte del compositore, ma fu giudicata troppo difficile e sostituita con l’altra Sinfonia in do magg. n. 6 (detta, per distinguerla, “La piccola”).

La composizione fu riportata alla luce da Schumann, che ritrovò il manoscritto, nel gennaio 1839, in casa del fratello di Schubert, Ferdinand. Fu diretta da Mendelssohn a Lipsia il 21 marzo 1839 e pubblicata nel 1840, anno in cui Schumann le dedicò un articolo entusiastico, giustamente famoso, parlando di «completa indipendenza da Beethoven», e di «divina lunghezza». Si tratta, nella storia della sinfonia, di un caposaldo che avrebbero tenuto presente Bruckner e Mahler, e che riassume alcuni aspetti essenziali del mondo schubertiano, dove la dilatata, sognante concezione del tempo musicale sembra schiudere orizzonti infiniti e una inesauribile varietà di paesaggi: di ciò, la direzione di Lonquich si mostra, assecondata alla perfezione dalla giovane Orchestra, perfettamente consapevole, muovendosi con sicurezza tra le sagaci promesse e le irruzioni eufoniche, i piaceri dei tempi dilatati, dal segno ora corrucciato, ora sereno, ora arcano.

Al criterio, tipicamente beethoveniano, di contrasto e sviluppo drammatico, che così bene il pubblico aveva sperimentato e toccato con mano nella prima parte, subentra qui la ciclicità storica della incessante metamorfosi del motivo primordiale ed elementare. Qui risiede, in nuce, la vera idea originaria che Schubert lungamente inseguì e che trovò in questa sua Sinfonia, vero lascito al mondo, il suo più compiuto inverarsi, in quella perfetta linea armonica che incessantemente insegue se stessa, attraverso trasformazioni e trasfigurazioni, cadute e riprese, apparizioni e sparizioni, autentico fiume carsico che, alla fine, conclude nell’irrefrenabile tripudio di suoni dell’Allegro vivace che torna, significativamente, all’iniziale Do maggiore, indiscutibile segno di una acquisita consapevolezza e dell’orgoglio del raggiungimento di una meta. Molti gli applausi, alla fine, sia per il Maestro sia per i giovani protagonisti di questa bella serata.

PANORAMICA RECENSIONE
Direzione
Solisti
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il-concerto-dellonci-al-teatro-petruzzelliOrchestra Nazionale Sinfonica dei Conservatori Italiani (ONCI) <br>Direttore, Alexander Lonquich <br> <br>Programma: <br> <br>Ludwig van Beethoven <br>Concerto per pianoforte ed orchestra n. 4 in Sol Maggiore op. 58 <br>I. Allegro moderato <br>II. Andante con moto <br>III. Rondò. Vivace <br> <br>Franz Schubert <br>Sinfonia n. 9 in Do Maggiore D 944 “La Grande” <br>I. Andante. Allegro ma non troppo <br>II. Andante con moto <br>III. Scherzo. Allegro vivace. Trio <br>IV. Allegro vivace <br> <br>Orchestra Nazionale Sinfonica dei Conservatori Italiani <br>durata, due ore <br>Bari, Teatro Petruzzelli, 10 maggio 2018