Korsunovas ci accompagna nei “bassifondi” dell’animo umano

Il teatro autentico di Oskaras Korsunovas rende vivo “I bassifondi” di Gorky. Prima nazionale al Teatro Era di Pontedera

Dietro un lungo tavolo opalescente, coperto da tovaglia bianca, illuminata da fredde luci a neon, siedono gli attori, in una clima visionario da ultima cena. Nell’incontro con i loro occhi si percepisce una recondita spavalderia irridente. Sul tavolo bottigliette di plastica da mezzo litro di apparente acqua, fanno da cornice ad un vassoio di cialde dolci posato al centro. Ai lati del tavolo, elemento conviviale della scena, è appesa una mappa dell’Europa, un vecchio proiettore di diapositive riflettente immagini di paesaggi, e una ripida piramide di casse vuote per bottiglie, di fianco a un display dove scorrono frasi che scopriremo provenire dallo spettacolo.

Questo il contenitore metafisico della scatola scenica de “I bassifondi” ripreso dall’opera di Maxim Gorky, diretto dal conclamato regista lituano Oskaras Korsunovas, premiato come miglior spettacolo lituano del 2010, andato in scena in prima nazionale al Teatro Era di Pontedera.

Fiumi di domande, di risposte, di storie troncate e di citazioni shakespeariane scorrono in un’eterna attesa nei bassifondi dell’animo umano.

“Che cos’è la verità?” “Perché vivono gli uomini? Perché credono in un futuro migliore, nella speranza di una vita migliore!” “Vivi!” “Cos’è l’uomo?” “L’uomo può morire una volta sola” “Tutto inizia e finisce con l’uomo” “Se credi in qualcosa esiste!”

Il liquido delle bottiglie non era quindi acqua, ma vodka, che la compagnia beve e offre più volte al pubblico, che ne scopre così stupito il contenuto.
Una riflessione sull’esistenza e sulla fede fatta a suon di brindisi alla salute del “vecchio”, chiaro riferimento al God di Godot, tra i fumi dell’alcool che inghiottono e restituiscono personaggi collerici, smemorati alla ricerca della verità, dilaniati dalla menzogna del bere.

Oskaras Korsunovas, già apprezzato al Teatro Era qualche stagione fa nella superba regia di Hamlet (leggi la recensione), crea anche stavolta qualcosa di nuovo, di estremamente reale e contemporaneo. Allestisce uno spazio aperto, dove attori e spettatori sono a stretto contatto e dove non è possibile fin dall’inizio evitare il confronto.
I dialoghi e le azioni che ne conseguono vivono sulla scena, la abitano, permeando gli attori come autentici alcolizzati.

L’odore di vodka che avvolge la sala, accompagnando il pubblico nei bassifondi della rovina dei personaggi, è autentico, come l’energia e la perfezione di un gruppo di attori fuori dall’ordinario, figli di una scuola sovietica legata al “metodo”, vedi i lavori di Nekrosius ed Hermanis, che dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, un livello di assoluta eccellenza.

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