
Tra le numerose opere shakespeariane, quella dell’Amleto è sicuramente la più stipata di domande a sfondo meditativo, quasi filosofico: Chi sono io? Essere o non essere? Che cos’è un uomo? Un’opera mirabile, un capolavoro, o una miserabile creatura indigente, un mendicante?
Amleto scambia volentieri la propria identità con quella dell’attore e del mendicante, celebrando con l’attore la flessibilità di un “io” che è gioco delle parti; con il mendicante esaltando il nulla, il “nessuno”, eterno Ulisse alla ricerca di se stesso.
Altre domande non riportate nel testo riempiono la mente del principe: Il fantasma sarà una trappola del demonio per dannarmi l’anima? Ofelia è sincera? Rosencrantz e Guildenstern mi sono amici? La vena barocca di Amleto si specchia in tante nature morte, che Shakespeare nella sua qualità distintiva sparge per il dramma, cosicché bene e male, buono e cattivo, nobile e malvagio si confondono. Tutto è un mistero e le apparenze racchiudono sempre una duplice verità, come in uno specchio.
Ed è di fronte ad uno specchio con spalle rivolte al pubblico che Oskaras Korsunovas dispone i suoi attori per l’incipit di Hamlet, andato in scena sabato 19 novembre all’interno del Festival Teatro Era di Pontedera. Come in un camerino di un teatro, al tavolo del trucco i nove attori della compagnia, vestiti di nero, si specchiano, immobili, chiedendo a loro stessi “chi sei?”, in un crescendo d’intensità che sfocia nell’urlo.
Ha inizio così un Amleto fuori dalle righe e dai confini classici che avvolgono spesso questa tragedia. Nonostante le atmosfere gotiche rievocanti una cloaca infetta popolata da topi, la pièce ha un forte respiro contemporaneo grazie soprattutto ad una attenta regia.
Il ritmo della performance è costantemente elevato, grazie a cambi di scena repentini cadenzati da effetti sonori rievocanti il rumore della tagliola della trappola per topi, evocazione a sua volta della morsa che nell’opera si stringe attorno a Claudio, zio e fratello del re assassinato da lui per salire al trono e sposare la madre di Amleto.
Eccellente la scenografia minimalista e modulare che ha dato vita ai quadri e alle azioni degli attori in scena, disinvolti e scaltri nel manovrarla.
Efficaci ed azzeccati i sottotesti e le incursioni di elementi moderni che il regista ha seminato nella messinscena portando nuova linfa a scene minori e all’intero dramma, ed è così che Polonio prima parla della partenza del figlio Laerte al cellulare e in seguito inizia a stirare un abito bianco (l’unico in scena) per una Ofelia con il volto di geisha, o come l’entrata su musica da discoteca di un Rosencrantz e un Guildenstern en travesti.
Accorgimenti registici ad effetto che dimostrano l’assoluta padronanza del testo da parte Korsunovas e la conseguente trasposizione figurativa, consacrandolo assieme ad Alvis Hermanis, come degno erede del più visionario Eimuntas Nekrošius.
Ottimo l’intero cast di attori, energici, perfetti nei tempi e nei movimenti, a partire da Darius Meskauskas che ha vestito magistralmente i panni di uno sferzante Amleto, e da Dainius Gavenonis impegnato energicamente nel doppio ruolo di Claudio e dello spettro del re.
Nella torbida trappola per topi di Korsunovas, i caratteri dei personaggi squittiscono tra il chiaro e lo scuro, tra verità e menzogna, misurandosi con il proprio specchio dell’anima e stringendosi in un epilogo sanguinoso, dove periscono sotto i colpi amari del destino. «Il resto è silenzio».
Link all’estratto del video dello spettacolo
http://www.dailymotion.com/video/xa5gwn_w-shakespeare-hamlet-dir-oskaras-ko_creation