
[rating=3] Commuove il pubblico scaligero la storia di Manon e De Grieux, ancora una volta sul palco del Piermarini nella storica versione di MacMillan su musiche di Massenet.
Quando Kenneth MacMillan nel 1974 coreografò L’histoire de Manon voleva innanzitutto creare un balletto in cui potessero emergere le qualità dei solisti tanto quanto il corpo di ballo nel suo insieme. Per farlo doveva adattare la celebre trama del romanzo settecentesco di Prévost a queste esigenze poetiche e non poteva utilizzare la musica dei capolavori operistici della Manon di Massenet e della Manon Lescaut di Puccini.
Il balletto L’histoire de Manon è così interamente frutto della fantasia del suo coreografo, che con l’ausilio dell’orchestratore Leighton Lucas arrangia decine di brani di Jules Massenet, nessuno dall’opera omonima, per ottenere, di fatto, un balletto romantico post litteram.
Lo spettacolo ripreso al Teatro alla Scala mette sul palco le scene e i costumi originali, restaurati, di Nicholas Georgiadis, con la nuova orchestrazione del 2011 di Martin Yates, che rispetta quella originale, e la ricostruzione coreografica di Julie Lincoln. Un allestimento tradizionale, classico e intramontabile, di grande impatto emotivo ed assai evocativo nelle minuziose ricostruzioni realistiche di ambienti, oggetti ed abiti d’epoca.

La vicenda è quella arcinota. Manon Lescaut è una giovane e bella parigina il cui fratello, mirando agli agi della bella vita, la concede in concubinaggio a ricchi gentiluomini, fruendone così delle ricchezze. La ragazza non si può dire del tutto vittima di questo ingranaggio e così, quando nella sua vita irrompe il giovane De Grieux, che la ama veramente, ella si trova incapace di scegliere tra ricchezze e sentimenti.
Mentre i due si corteggiano e finiscono per amarsi nell’angusta casa di De Grieux, il fratello di Manon la affida alla benevolenza del ricco Monsieur Guillot de Morfontaine, che ne pretende le grazie. De Grieux è affranto, e a nulla possono valere le promesse di ricchezza del giovane arrivista Lescaut. Manon, dal canto suo, accetta di buon grado i ricchi regali del suo pretendente.
Per Monsieur G.M. Manon non è che un passatempo, un ornamento da ostentare in bella mostra, ed è così che si trova a condurla in una casa di divertimenti in cui sopraggiungono anche Lescaut e De Grieux. Il giovane, alla vista della sua amata, non sa resistere.
Mentre uomini e cortigiane ballano, bevono, amoreggiano e giocano d’azzardo, De Grieux e Manon, in disparte, si riconciliano ed escogitano un piano: con un mazzo di carte truccato il ragazzo può vincere a Monsieur G.M. una somma sufficiente per sostenere la fuga dei due giovani amanti.
Al tavolo da gioco la fortuna di De Grieux desta i sospetti di Monsieur Guillot de Morfontaine, che lo coglie barare. Nella rissa che ne segue De Grieux e Manon riescono a fuggire, ma Lescaut è tratto in arresto.
Mentre nella camera di De Grieux i due amanti, litigando, si apprestano a lasciare Parigi, irrompe Monsieur G.M. con Lescaut in catene e un drappello di gendarmi: Manon è arrestata come prostituta e suo fratello freddato a morte mentre tenta di opporsi alle guardie e a Guillot de Morfontaine.
Nel porto di New Orleans giungono i deportati criminali dalla Francia destinati alle colonie penali della Louisiana. Tra uno stuolo di prostitute c’è Manon, accompagnata da De Grieux che si finge suo marito. Ma anche nel Nuovo Mondo il destino della giovane avvenente non cambia: il carceriere è disposto a ricompensarne la arrendevolezza con agi e libertà. Manon cede, ma de Grieux non può sopportarlo e irrompendo sulla scena uccide il gendarme nella colluttazione.
Costretti di nuovo alla fuga nelle paludi del Mississippi, ormai privi di speranze e di ambizioni, i due possono amarsi sinceramente. Manon però, colpita dalla febbre e indebolita dagli stenti, muore tra le braccia di De Grieux che per lei era diventato ladro ed assassino e che ora è pronto a morire inghiottito dalla foschia.
Nel balletto di MacMillan la bella Manon è più ambigua che mai, amorale ma non immorale, incostante ma non incoerente, vittima di se stessa più che degli altri o degli eventi.
La coreografia è piuttosto simbolica, sfrutta ogni aspetto dei movimenti di danza portando i corpi ad appiattirsi al suolo per poi sostenersi sollevati in aria, come voli pindarici dalle più bieche profondità della materia ai più celestiali e alti sentimenti. Niente di implicito, ma nemmeno niente di così esplicito da svergognare l’amore travagliato tra Manon e De Grieux, come pretende la tradizionale pudicizia anglosassone.
L’histoire de Manon è in fin dei conti una rilettura novecentesca di un classico del ‘700, attraverso l’interpretazione del romanticismo tardo ottocentesco. Un classico decadente, quasi un pamphlet in danza che discute di morale ma con intento estetico.
Il balletto di MacMillan è senza dubbio apprezzabile per la raffinata selezione dei brani di Massenet, per la bella e misuratissima armonia tra musica e passi di danza, per la trama psicologicamente elaborata e per le abilità tecniche che impone ai ballerini, ma nonostante tutto, per chi sta scrivendo, non riesce ad eguagliare le Manon in opera di Massenet e Puccini, per il portato drammatico e il senso tragico, escatologico ed antropologico dei due melodrammi. Nell’Histoire de Manon l’estetica supera di gran lunga la filosofia, la qual cosa in un balletto è certamente funzionale.
Sul palco del Piermarini si sono esibiti un Corpo di Ballo in gran forma e dei solisti davvero straordinari.
Eccezionale Sarah Lamb, dal Royal Ballet di Londra, in sostituzione di Natalia Osipova nel ruolo protagonista. Lamb ha fornito grandissima prova delle sue abilità tecniche, della maestria nei movimenti e nella gestione di ogni espressione del corpo: un ottimo e applauditissimo debutto alla Scala, memorabile per la sua grazia e la sua delicatezza.

Nella recita del 20 novembre abbiamo potuto apprezzare l’esibizione di Claudio Coviello, ballerino in arrestabile ascesa, nel ruolo di De Grieux, Angelo Greco, nei panni del giovane Lescaut e Massimo Garon, Monsieu Guillot de Morfontaine, tutti e tre al massimo della forma. Un trio maschile affiatato ed azzeccatissimo per questi ruoli comprimari che, dall’inizio alla fine del balletto, ruotano letteralmente attorno alla bella Manon.
Gli altri interpreti nei ruoli secondari, tutti impeccabili nelle parti ognuna assai elaborata e di grande impegno tecnico: Lusimay Di Stefano, Monica Vaglietti, Alessandro Grillo, Walter Madau, Vittoria Valerio, Gaia Arduino, Luana Saullo, Philippine de Sevin, Christelle Cennerelli, Jacopo Tissi, Christian Fagetti, Timofej Andrijashenko, Agnese Di Clemente, Denise Gazzo, Marta Gerani, Jennifer Renaux, Luigi Saruggia, Andrea Pujatti, Massimo dalla Mora, Emanuele Cazzato, Giuseppe Conte, Antonina Chapkina, Licia Ferrigato, Daniela Cavalleri, Lara Montanaro, Alessia Bandiera, Stefania Ballone, Chiara Fiandra, Paola Giovenzana, Giulia Lunardi, Corinna Zambon, Giulia Schembri, Serena Sarnataro, Mattia Semperboni, Andreas Lochmann, Salvatore Perdichizzi, Eugenio Lepera, Marco Messina, Fabio Saglibene.
Molto bravi anche gli attori Matthew Endicott, Daniela Siegrist e Adeline Souletie.
Sotto tono invece l’orchestra guidata da David Coleman. Il maestro Coleman non è riuscito a strappare ai musicisti scaligeri il meglio delle loro qualità. Non solo l’esecuzione è risultata poco convincente e a tratti del tutto insipida, meccanica e senza colore, ma in qualche occasione non abbiamo potuto ignorare degli errori grossolani. Decisamente una prova poco edificante di ciò che l’Orchestra del Teatro alla Scala sa e può fare ai massimi livelli di eccellenza internazionale.














