
[rating=4] Il 27 Novembre del 2015 in tutti i teatri d’Italia e ancor di più in quelli di Napoli c’è stato un momento di ricordo e commozione. Da poche ore si è appresa la notizia della scomparsa di Luca De Filippo, attore e regista onesto e capace, custode della ingombrante eredità di uno degli autori più importanti del ‘900.
La compagnia de I promessi sposi. Opera moderna in scena dal 27 al 29 Novembre al Palapartenope di Napoli, prima che si aprisse il sipario è scesa in platea per l’inevitabile omaggio.
Cordoglio e silenzio hanno segnato i primi minuti del riadattamento del celebre romanzo di Alessandro Manzoni. Poi, lo spettacolo scritto e diretto da Michele Guardì, con le musiche di Pippo Flora e la consulenza musicale di Sergio Cammariere ha preso il ritmo che instancabilmente dal 2010 emoziona e coinvolge il pubblico.
Il gioco del Metateatro introduce i personaggi svelati di fronte allo specchio del proprio camerino, macchine sceniche danzano con attori e ballerini fin dal primo momento.
A Luciano Ricceri si deve la realizzazione rotante delle ambientazioni (la piazza, la dimora di Don Rodrigo e quella dell’Innominato, le imbarcazioni tra la nebbia, il convento a Monza, il Duomo di Milano), scenografie che divengono protagoniste indiscusse al pari dei personaggi che dentro esse si muovono e che completano i messaggi forti ed insiti nella storia.
L’amore tra Renzo (Graziano Galatone) e Lucia (Noemi Smorra) si inserisce, in accordo con l’intento manzoniano, “in un contesto storico e sociale che riprende, immutate, le problematiche dell’essere: dall’Amore al Potere, dalla Giustizia alla Fede”. Concetti ben espressi non soltanto dalla resa scenica dei protagonisti ma anche dai testi sapientemente scritti da Guardì e fortemente attuali (si pensi all’ouverture “Oggi come ieri”).
Il romanzo di Manzoni è una storia sul Potere quella “forza senza logica che ordina e non spiega” che fa di Don Rodrigo (interpretato da Giò Di Tonno) un burattinaio al di sopra di una insidiosa rete di ragno.
Il latinorum dell’Azzeccacarbugli si materializza in carcasse di libri sotto le quali il popolo soccombe anziché venir tutelato. “La legge è uguale per tutti voi” si ripete come un mantra fino alla resa dei più deboli che “contro l’ingiustizia non possono niente”. A Don Abbondio (Salvatore Salvaggio), curato goffo e fifone fa da contraltare Fra’ Cristoforo (Vittorio Matteucci), interprete del coraggio e della Provvidenza nella quale riporre fede, una forza trascendente che supera la morte, i soprusi e gli inganni capace di redenzioni e miracoli, poiché “Verrà un giorno”. “Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia”, le parole di Lucia scalfiscono la corazza dell’Innominato (Vittorio Matteucci) e conducono al silenzio che salva e redime.
Brillante l’interpretazione attoriale e vocale di ogni protagonista, ma anche dei personaggi secondari, come ad esempio quello di Chiara Luppi nel ruolo della madre di Cecilia – la bambina vinta dalla peste – che commuove sul finire del secondo atto così come nei secoli ha commosso la lettura del 34esimo capitolo nel romanzo: uno dei passi più lirici e toccanti dell’intero romanzo.
Si gioca sulle variazioni ritmiche in accordo con i cambi scena, tutto è in musica e tante sono le canzoni che come richiede il genere si insinuano nella memoria per essere canticchiate all’uscita.
Un’opera completa e potente che tradisce però un difetto: l’impiego ridotto dei venti danzatori.
Non così rilevante l’impatto coreutico, e lì dove il corpo di ballo ha avuto più spazio, il virtuosismo elegante di Luciano Cannito (coreografo di indiscussa fama) è emerso, ma nel complesso, l’opera è scarna in quanto a danza, ed è un qualcosa di cui risente l’intero spettacolo. Scene come la rivolta del pane, l’arrivo dei Lanzichenecchi e la sciagura della peste avrebbero potuto essere arricchite da prospettive danzanti più incisive, rendendo ancora più completo lo spettacolo. Il successo ancora attuale di Notre dame de Paris (alcuni interpreti sono gli stessi) è dovuto anche e soprattutto alle vertiginose acrobazie dei danzatori, oltre che dal trasporto delle musiche e dalla presentazione dei ruoli.
Tuttavia, anche in questo caso il pubblico giunge alla chiusura del sipario con grande emozione e forte empatia con i personaggi, confermando ancora una volta la grandezza di un’opera letteraria che ha vinto il Tempo e s’è dimostrata duttile e versatile anche sottoforma di musical.