The Pride…and prejudice dell’amore altro

[rating=5] Il Teatro Argentina ci ha ormai da tempo abituato alle sorprese più impensabili, da quelle meravigliosamente gradite a quelle che sì, insomma, in quel teatro lì diciamo che non t’aspetti. The Pride portato in scena da Luca Zingaretti che ne cura la regia e ne interpreta uno dei personaggi, è quasi il connubio, in positivo, delle due istanze. Sì perché da tempo si fa un gran parlare e rappresentare dell’amore per lo stesso sesso, talvolta esacerbandone anche un po’ il tema con allestimenti volutamente provocatori, ma qui invece si parla con molto garbo della purezza di un sentimento che, quando è riconosciuto come tale, non può che portarci alla felicità.

La storia è quella di Philip (Luca Zingaretti), Oliver (Maurizio Lombardi) e Sylvia (Valeria Milillo) un trio che vive in due tempi, nel senso che la storia dell’amore fra i due uomini è la stessa, ma cambiano le epoche e i contesti in cui viene vissuta: una cupa Londra di fine anni ’50 e la moderna city dei gay pride.

Ed è proprio questo “pride” l’orgoglio prima sottaciuto e spesso soffocato di essere altro dalla morale comune e lo stesso che oggi sembra ad Oliver uno stereotipo che qualcuno ha voluto cucirgli addosso, quasi che lui dovesse per forza riconoscersi nelle piume e pailettes della sfilata per le vie della città, mentre si sente solo come un esodato nella striscia di Gaza. Bellissima rappresentazione davvero, scene, luci, musiche, costumi, bravi gli attori, anche se forse la Milillo e Zingaretti restano un po’ meno poliedrici, passando l’una dalla moglie tradita all’amica fedele e l’altro dall’amante che rifiuta la sua omosessualità al fidanzato che accetta l’amore un po’ sconclusionato del compagno. Ma fatta menzione a parte per il bravo Alex Cendron, che interpreta vari personaggi minori nel corso delle due storie, la scena è tutta rubata da Lombardi, che con straordinario talento inventa due Oliver tanto diversi, eppure incredibilmente fusi in un unico personaggio, che cattura l’attenzione del pubblico dall’inizio alla fine del dramma. Uno spettacolo intelligente e raffinato, che restituisce una non banale riflessione sull’autenticità di ciò che siamo e non dovremmo essere per forza, chapeau!

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