
[rating=5] Il tutto esaurito del Teatro Shalom ha accolto e salutato l’affascinate viaggio proposto da Elio e i Fiati associati attraverso la produzione operistica del compositore tedesco Kurt Weill (Dessau 1900-New York 1950) e del suo librettista Bertold Brecht (Augusta 1898-Berlino1956).
Il quintetto strumentale dei Fiati associati – formato da Massimo Mercelli al flauto, Fabio Bagnoli all’oboe, Riccardo Crocilla al clarinetto, Paolo Faggi al corno e Paolo Carlini al fagotto – ha aperto la serata, proponendo la Suite n. 1 da Die Dreigroschenoper (1928) [L’opera da tre soldi] arrangiata da Giovanni Bacalov. L’ouverture ha immerso il pubblico nel mondo del cabaret punteggiato dalla satira, dal sarcasmo, dall’ironia dell’epoca che hanno trovato, ad oggi, espressione negli interventi solistici, ora del flauto, ora dell’oboe, ora del clarinetto. Melodie e armonie si intrecciano in combinazioni di colori tra loro contrastanti, affrontando e coinvolgendo gli ascoltatori e, soprattutto, facendoli riflettere sulle condizioni della società della Germania nazionalsocialista, dell’Europa espressionista, dell’America del jazz e dei café-concerto.
Elio interpreta i brani più noti dei drammi di Weill, i cui testi sono tratti dai libretti o dalle drammatizzazioni teatrali del grande scrittore Bertold Brecht. Brecht raggiunse la celebrità proprio nel 1928, grazie a L’opera da tre soldi che, tratta a sua volta da L’opera del mendicante di John Gay, ebbe ben 400 repliche!
Elio, proponendo La ballata di Mackie Messer, Il corale mattutino di Peachum, La canzone dei cannoni, La ballata della schiavitù sessuale e La ballata del magnaccia con la quale conclude la prima parte dello spettacolo, si cala a pieno nell’ottica teatrale brechtiana, quella di ridefinire i rapporti tra spettatori, rappresentazione teatrale e società. Con Elio, alias Brecht, cade la forma consueta del teatro, quella aristotelica, a favore del naturalismo. Gli spettatori giudicano, criticano, partecipano, commentano quello che accade sul palcoscenico e, soprattutto, lo collegano (grazie ai suggerimenti e ai parallelismi del cantautore) alla realtà sociale che li circonda.
Elio e i Fiati associati sollecitano l’attenzione critica al canto e alla musica creando quello “straniamento” che dà nuova luce ai personaggi rappresentati, dal mendicante Peachum al bandito Mackie Messer. E i Fiati associati non si limitano ad accompagnare Elio ma prendono apertamente parte alla narrazione, confrontandosi e scambiandosi i ruoli solistici negli apprezzati arrangiamenti di Paolo Geminiani, descrivendo ora le scorribande dei banditi, ora la vita dei bassifondi di Londra tra rapine, tradimenti, prostituzioni e amori.
Grande nota di merito va alla scelta di aver adottato i testi delle Songs nella traduzione italiana, riprendendo e riattualizzando la versione di Giorgio Strehler degli anni ’50. Volontà di Elio, condivisa e apprezzata dall’intera platea di spettatori.
Una nuova Suite, la n. 2, di Weill/Bacalov, magistralmente eseguita dal quintetto, ci anticipa le nuove tematiche interpretate dall’eclettica voce di Elio: La ballata dell’agiatezza, La canzone delle contraddizioni nella condizione umana e La ballata degli impiccati. Elio-Mackie Messer deve essere impiccato, la canzone in tono semiserio, affidata alla melanconica e profonda voce del fagotto, sottolinea la marcia verso il patibolo. I Fiati associati gli stringono pian piano il cappio al collo, per poi rilasciarlo nel finale, dopo che la regina gli ha concesso la grazia.
Dopo L’opera da tre soldi è la volta della commedia Happy End (1929) [Lieto fine], e il viaggio continua, da Londra alla volta di Chicago. Con la frizzante Canzone di Mandeley ci caliamo a pieno nelle sale da ballo americane, tra gangster e fuorilegge. Il quintetto dialoga con Elio in un discorso concitato che vede intrecciarsi passaggi virtuosistici dell’oboe di Fabio Bagnoli e del flauto di Massimo Mercelli, a ribattuti ostinati e serrati del fagotto di Paolo Carlini e del corno di Paolo Faggi, a frasi spezzate e accentuate del clarinetto di Riccardo Crocilla.
La canzone dell’Alabama dall’opera Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny (1927-29) [Ascesa e caduta della città di Mahagonny] chiude la colta e, allo stesso tempo, popolare serata, abilmente costruita sulle due grandi figure della Germania espressionista, Kurt Weill e Bertold Brecht, e sulle loro più note canzoni, veri e propri pezzi di teatro che raccontano un passato perduto e ci parlano di noi e del nostro presente con un’attualità sorprendente.
E con Elio e i Fiati associati i personaggi si alternano sul palcoscenico riportando alla luce quell’umanità che naufraga nei vizi e nei peccati ma che cerca sempre una redenzione. La voce e la presenza scenica di Elio ben si confanno alla passione civile dei due autori tedeschi: forza, rabbia, vitalità, ironia si fondono nel continuo ripetersi delle tappe storiche dell’umanità.
Le Songs vogliono essere manifesto di denuncia, sono musicalmente stereotipate ma il carattere che ne esce è sorprendente: ora provocatorio, ora aggressivo, ora lirico. E questo lo sanno bene i Fiati associati che parodizzano, distorcono, ripensano la tradizione musicale colta a favore della nuova evasione nelle sensibilità armoniche di Weill, conferendo piglio e mordente al suo linguaggio.
Il bis non poteva certo mancare, La canzone di Mandelay dall’Happy End ha siglato il completo successo della prima toscana dell’evento.