
Come sarà il mondo a cent’anni dalla composizione di Fahrenheit 451? Che cosa ricorderanno le nuove generazioni di questi nostri anni Venti? Un’epoca d’accelerazione, in cui sembra profilarsi la distopia immaginata da Ray Bradbury con le derive autoritarie, il contrasto alla libertà di pensiero, conflittualità crescenti e il riarmo. Tutto questo nella confusione, se non nel buio assoluto dell’infotainment.
Su queste domande sembra imbastirsi la drammaturgia dello spettacolo Il fuoco era la cura del Collettivo Sotterraneo, tratta dal romanzo dell’autore americano.
Non di semplice adattamento si tratta, ma di una riflessione sul presente che pone interrogativi preoccupanti sul futuro. E così deve essere. La compagnia destruttura il testo, conservandone il nucleo centrale: il plot raccontato a più voci dagli attori e i personaggi principali stilizzati. Il pompiere Montag con la moglie Mildred, qui alienata dalla realtà virtuale; Clarice MacClellan, pericolosa outsider; il Capitano Beatty; una donna che si consuma nel rogo dei suoi libri; Faber, intellettuale incapace di eroismo; e i Book-people, prototipi di un nuovo umanesimo, accesi del verbo.
Si compone però di un prologo, in cui gli stessi interpreti sono impegnati a mandare a memoria un’opera capitale, e un epilogo in cui si esibiscono nei panni di clown tristi, ormai piegati alla consegna di intrattenere il pubblico in un teatro vuoto. Come in un testo di Pirandello, si presentano a più riprese anche per essere testimoni di un’altra storia, quella dell’involuzione del nostro presente, di cui siamo responsabili. Come siamo arrivati al punto in cui ci troviamo? Che cosa abbiamo fatto noi per adeguarci?
Un presente in cui il libro, dopo essersi smaterializzato, perde sempre più di centralità. “Il fuoco era la cura” dice il Capitano, per giustificare il paradosso dell’azione dei pompieri piromani: meglio mettere a tacere, con i libri, domande scomode tanto per la mente quanto per il regime. Ma alla fine si lascerà annientare, reo confesso davanti ai suoi simili del tradimento della libertà intellettuale.
Il disegno è preciso. Nel lavoro ritornano alcuni elementi linguistici di Sotterraneo, a cui il Piccolo Teatro dedica quest’anno una personale che porta in scena anche L’Angelo della Storia e Talk-show: la coralità della narrazione, microfoni alla mano, la pluralità dei linguaggi, la sobrietà di costumi e azioni mimiche, una scena spoglia pronta a riempirsi delle descrizioni immaginifiche di Bradbury.
E nello spettacolo non scorre un’immagine, confidando nella potenza evocativa della parola scritta, detta e recitata.

È affidato alla colonna sonora del film di François Truffaut il racconto di una sequenza centrale del romanzo, mentre alla scena rock il compito di celebrare autori come Melville (Moby Dick dei Led Zeppelin), Lewis Carroll (White Rabbit dei Jefferson Airplane), Fitzgerald (Tender dei Blur) o Hemingway (For whom the bell tolls dei Metallica). Come a dire che l’eco delle loro parole non si spegne, ma continua a risuonare in altri territori.
Importanti anche qua sono i riferimenti antropologici alla storia dei Sapiens, mutuati dallo storico Yuval Noah Harari: le danze rituali e il culto della potenza del fuoco. Fuoco che scalda. Fuoco divinità. Fuoco che devasta. Fuoco che unisce, infine.
Incidentalmente la Compagnia, estimatrice dell’aneddoto, ci ricorda una serie di roghi di libri voluti dai potenti nella storia: dalla Cina della dinastia Qin nel 213 a.C., passando per la distruzione della Biblioteca di Alessandria nel 640 d.C. dopo la conquista araba, fino ai Bücherverbrennungen ordinati dal Terzo Reich nel 1933, in Germania.
Però oggi i libri, invece di bruciarli, è meglio sfrondarli, condensarli, ridurli a poco più che titoli, darli in pasto alle AI, di cui Bradbury ancora non poteva parlare. Peccato che, rinunciando a pensare, perdiamo anche l’attitudine ad essere animali politici.
Sullo sfondo, due schermi propongono brani di un dibattito dalle risposte incerte. E noi da che parte stiamo? Quanto siamo disposti ad accettare il silenzio che l’esercizio del pensiero comporta? Il pubblico incassa le provocazioni che traducono un’inquietudine diffusa. Alla fine, prorompe in sonori applausi con diverse chiamate in proscenio.














