Da Mahler a Ligeti, il dolore della terra, il bronzo e l’oro

Al Teatro San Carlo di Napoli s'inaugura la nuova Stagione Concertistica: sotto la direzione di Juraj Valčuha, in programma "Lontano" di György Ligeti e "Das Lied von der Erde" di Gustav Mahler

Luce. Desiderio di luce. E del suo (im)perfetto opposto, il buio, per contrasto, per risalto, per assurda rispondenza a un miraggio dello spirito. Chips, picking chips off rocky thumbnail, chips. Schegge, levando schegge dall’unghia rocciosa, schegge. Fuoco e quiete che s’alternano rapide e circospette, qui al Teatro San Carlo di Napoli per l’Inaugurazione della Stagione Sinfonica, alla ricerca, come in effimero equilibrio tra Leopold Bloom e Simon Dedalus, d’una (im)possibile quadratura del cerchio, dagli estatici umori della belle époque che vide l’ultima acerba stagione di Gustav Mahler agli illusi ed enteogeni anni sessanta dell’irrequieta tensione di György Ligeti.

Ancora il secolo breve, dunque, all’attento esame di Juraj Valčuha e dell’Orchestra del Teatro San Carlo, e ancora Vienna, che si vuole capitale, in tutta evidenza, e sorgente generosa non già d’una mitteleuropa che più non esiste, ma del moderno pensiero e delle sue contraddizioni, della contemporaneità sospesa sull’abisso che riscopriamo, sconcerti, nelle nostre stesse fattezze, come Narciso nella fonte di cui s’invaghì. Il titolo italiano del primo brano in programma – Lontano, del 1967 – è insieme descrizione di uno stile e decisa presa di distanza dalla musica del Novecento, dalle sue asserzioni, dalle sue effimere e confessate (in)certezze. Il suo autore, il magiaro naturalizzato viennese György Ligeti riesce, negli anni sessanta del secolo breve, a creare uno stile suo proprio, che lo porta a diventare uno dei maggiori compositori di quella temperie: la sua musica si distingue perfettamente, rispetto a quella dei contemporanei, per l’atmosfera, spesso inquietante, che si viene a creare sovrapponendo suoni che, iniziando molto silenziosamente, crescono lentamente per fondersi insieme ad altri.

Il suono, o la percezione di esso, genera una tensione talmente palpabile e inquieta da essere stata usata in notissimi film, quelli di Kubrick, per citare l’esempio più famoso, da Shining a 2001: Odissea nello spazio, per i quali il musicista vinse anche una causa sul diritto d’autore. Ultimo, per ora, della lunga schiera di musicisti che hanno trovato in Vienna una generosa patria, da Haydn a Mahler, passando per Mozart e Beethoven, Ligeti crea un dispositivo stilistico che lui stesso ha battezzato, non senza una qualche ricercata enfasi, “micropolifonia”: molte linee musicali si sovrappongono, muovendosi in modo diverso a formare un tessuto musicale molto caratteristico, esitando, alla fine, in una “cristallizzazione armonica” che è molto diversa dall’armonia tradizionale e anche da quella atonale.

Così, dalla trama densa e complessa emergono fantasmi di armonia, sfocature acquose e insieme ruvide, che si sfanno in fini trasparenze per poi tornare allo stato solido di cristallizzazione: come dice lo stesso Ligeti, “ciò che è nella pagina è polifonia, ciò che si sente è armonia”. Il gesto di Valčuha asseconda, richiede, ricerca l’ordine nel caos che è gioco infinito di specchi, di prismi, di riflessi, risonanze, rifrazioni: la luce, la ricerca della luce, che si fa desiderio, fame e brama, si ridesta nell’oro e nel bronzo, i colori dell’antico Omero, si frammenta e si frantuma in aspre gocce d’echi infiniti e, in parte, sovrapposti, si placa, temporaneamente, nell’azzurro e nel nero dell’acqua e della terra: elementi primordiali che l’Orchestra, sotto l’attenzione dell’onnipresente direttore, così fragile e insieme forte, alto sul suo podio, perfettamente rende nella loro essenziale sostanza, senza sbavature, reali e sbalzati come il liquido e il metallo di cui son costituiti.

E senza soluzione alcuna di continuità si passa alla seconda parte del programma, che, non poteva che intitolarsi a Gustav Mahler: il brano scelto è la sinfonia per contralto tenore e orchestra, Das Lied von der Erde, Canto della terra che il compositore non annoverò, per pura scaramanzia, tra le sinfonie – per così dire – “numerate” (le sarebbe toccato il numero nove e non voleva imitar Beethoven); non gli riuscì, tuttavia, purtroppo, d’ingannar gli dei, perché, composta poi la Nona, s’illuse concludendo con Alma d’aver “passato il decimo” e che il pericolo fosse passato, beffata la morte; che, invece, puntuale lo colse mentre era al lavoro sulla sinfonia oggi chiamata Decima.

All’inizio del 1907, il compositore ricevette in dono una raccolta di versi di traduzioni tedesche di Hans Bethge di antichi poeti cinesi appena pubblicata, Die chinesische Flöte Il flauto cinese. Mahler, distratto e oberato di lavoro, mise da parte il libro, ma alla fine dell’estate, si imbatté di nuovo nel dono; era sovraccarico anche allora di lavoro, e poi a luglio sua figlia Maria, quattro anni e mezzo, era morta di scarlattina e difterite e lui stesso aveva appreso di soffrire di una grave patologia cardiaca. Tuttavia il lavoro era quel che ci voleva per vincere lo sconforto: quei versi malinconici gli parlavano con singolare urgenza. Cominciò a comporre e il canto fu il suo principale progetto per l’estate successiva, cosciente fin dall’inizio che non stava scrivendo un normale ciclo di lied ma qualcosa di più grande e più coeso. Bruno Walter ha ricordato che Mahler descriveva il lavoro come “una sinfonia nel canto”, e alla fine Mahler finì per definirlo “una sinfonia per tenore e contralto (o baritono) e orchestra”.

La partitura completa fu terminata nel 1909, ma Mahler non visse abbastanza per ascoltarla, la prima fu diretta dal suo amico, discepolo ed ex assistente, Bruno Walter, a Monaco di Baviera il 20 novembre 1911. Walter scelse due cantanti americani dall’elenco della Vienna Court Opera, William Miller e Mme. Charles Cahier (Sara Jane Layton Walker di Nashville, Tennessee, che ha sempre usato il suo nome da sposata). Nel Concerto del San Carlo, invece, le voci sono quelle del contralto Daniela Sindram, timbro di grande personalità, insieme morbido e scuro, di cui s’intuisce la vocazione e la preparazione wagneriana, e quella del tenore Eric Cutler, dalla voce importante e rotonda, bella ed estesa. È grazie alla direzione di Valčuha che ci è possibile comprendere esattamente ciò che intendeva l’Autore quando parlava di una “sinfonia nel canto”: benché, infatti, diversa sia l’ispirazione delle sei poesie che vanno a comporla, e nonostante la stessa partitura s’industri a caratterizzare profondamente ogni brano, essa conserva, distintamente, percettibilmente, potentemente, un forte carattere unitario, che fortemente ne denuncia eguale genesi, evoluzione, destino.

Così, tutte le parti che compongono la sinfonia (tranne una) vengono dirette da Valčuha in punta di bacchetta, imprimendo in tal modo un forte carattere essenzialmente ritmico, preciso, incisivo, e, tuttavia, pacatamente, segretamente, dolcemente ironico, pur nella diversità dei temi e delle carature, passando dai forti, passionali contrasti di Das Trinklied vom Jammer der Erde, di Li Pao, in cui il dolore della terra trova compimento e senso nella grottesca figura della scimmia, alla spavalda, speranzosa, quasi eroica descrizione d’una inquieta giovinezza di Von der Jugend, di Li Tai-Po, o alla romantica, perfino leziosa, ode alla bellezza di Von der Schönheit, dello stesso autore, cui appartiene pure il bozzettistico acquerello che tratteggia un ubriaco in primavera, Der Trunkene im Frühling, in cui la sottile vena di follia, enunciata dalla voce del flauto, trova piena libertà d’esprimersi, poi, nella conclusiva Der Abschied di Mong Kao-Jen: è un motivo, panico e delirante, in cui la voce solitaria e splendidamente e complètement fou del flauto vien messo ad impari confronto con la tragica, ancor così romantica compostezza dei violoncelli, e che tanto mi ricorda l’analoga, insinuante distonia della Salome straussiana, che pur risale a quegli stessi, estenuati anni.

Per un sol brano il direttore posa invece sul leggio la bacchetta e dirige a mani nude, probabilmente per l’esigenza irrinunciabile di una resa più morbidamente impressionistica e quasi crepuscolare della luce autunnale: Der Einsame im Herbst, di Tschang Tsi, si nutre di Herbstnebel wallen, nebbie autunnali in cui appassiscono goldnen Blätter petali d’oro, in cui la luce Erlosch mit Knistern si spegne crepitando. Miraggi dello spirito, desiderio di luce. Luce.

PANORAMICA RECENSIONE
Direzione
Solisti
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da-mahler-a-ligeti-il-dolore-della-terra-il-bronzo-e-loroConcerto Sinfonico <br>INAUGURAZIONE della STAGIONE SINFONICA 2019-20 <br> <br>Direttore, Juraj Valčuha <br>Contralto, Daniela Sindram <br>Tenore, Eric Cutler <br> <br>Gyorgy Ligeti, Lontano per grande orchestra (1967) <br>Gustav Mahler, Das Lied von der Erde (Il canto della terra) sinfonia per contralto tenore e orchestra (1911) <br> <br>Orchestra del Teatro di San Carlo <br>Durata musicale: 1 ora e 30 minuti circa <br>In programma dal 12 al 13 ottobre 2019 <br>Napoli, Teatro San Carlo, 13 ottobre 2019