
[rating=5] Una marcia turca di Haydn per entrata, una marcia di ritirata di Beethoven per uscita, incastonano le preziose e affascinanti esecuzioni dell’Ensemble Zefiro, titolate “Armonie e Turcherie”, che si sono potute gustare al Teatro della Pergola, per la nuova stagione degli Amici della Musica di Firenze.
Un’interessante formazione i fiati conosciuta nel ‘700 come Harmoniemusik, che ha eseguito il programma del concerto su strumenti d’epoca, dall’oboe ai clarinetti, passando per i fagotti, il controfagotto, il cimbasso, le trombe, i tromboni e i corni. Sedici elementi eclettici e virtuosi che hanno calato il numeroso e caloroso pubblico nel XVIII secolo, in un viaggio nelle corti d’Europa, privilegiando quella viennese dell’Imperatore Giuseppe II e quelle italiane.
Fu, infatti, proprio Giuseppe II il primo a costituire, nel 1792, l’Imperial Wind Ensemble, l’Ensemble Imperiale di Fiati, un ottetto formato da quattro coppie di fiati: oboi, clarinetti, corni e fagotti. L’Ensemble Zefiro, fin dal titolo del loro concerto, hanno unito i due nomi principali che designano la loro formazione: Harmonie e Turkische Music. Elementi derivati, a partire al 1816, dal “Journal for Harmonie and Turkische Music”.
L’aggettivo “turco”, molto spesso associato alla definizione Janitscherenmusik [Musica dei Giannizzeri] – basti pensare al Ratto al Serraglio o al Rondò “alla turca” di Wolfgang Amadeus Mozart, solo per citare due dei più noti esempi di “turcheria” – delinea l’introduzione delle percussioni, in special modo quelle originarie dell’area turca quali il tamburo basso, il cembalo e, soprattutto la commistione di queste col timbro-“spezia” dell’Occidente, il triangolo, che va a completare l’organico dei fiati dell’Ensemble.
Vicino e lontano, europeo e esotico si fondono e si intrecciano magistralmente a creare atmosfere sonore che richiamano le corti e gli ambienti militareschi, europei e turchi, di fine ‘700-inizio ‘800.
L’Ensemble ha proposto musiche originali per la formazione e alcune trascrizioni-arrangiamenti, fra i quali spicca quello dell’Ouverture dal Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini. Molte le peculiarità che contraddistinguono l’Ensemble. In primis la compattezza e l’omogeneità sonora: i caldi timbri dei bassi si fondono perfettamente con quelli degli alti, creando le più varie combinazioni, ora ritmiche ora melodiche.
Fin dal primo brano, la Türkischemusik di Joseph Michael Haydn, fratello del noto Franz Joseph, si possono apprezzare riscoperte sonorità, ben diverse dai moderni strumenti e dalle contemporanee formazioni cameristiche e orchestrali. La ricerca del gusto settecentesco riporta alla luce quei timbri chiari e nasali dei clarinetti – nei quali sembra di sentire ora una tromba, nel registro medio, ora un clarinetto vero e proprio nel registro basso -, quei bassi profondi e delicati del controfagotto, quelle ibride sonorità del cimbasso – una commistione di due strumenti: corpo di fagotto e imboccatura di oficleide -, che strizzano l’occhio alla voce pastosa, ora patetica ora militare, dei due fagotti, così come a quelle incisive dei corni, passando alle delicate e morbide frasi del flauto traversiere, per arrivare a quelle più penetranti degli oboi.
È in Franz Krommer, nella Partita in Si bemolle maggiore, e nel Concertino per oboe e Harmonie in Do maggiore, di Carl Maria von Weber, che si possono apprezzare le capacità tecniche e musicali di ogni singolo componente dell’Ensemble Zefiro, dai tempi lenti ai minuetti-valzer, in Krommer, all’Allegro in stile polacca del Concertino di Weber. Un plauso a Paolo Grazzi che ha messo in luce le ricche possibilità virtuosistiche e cantabili del suo strumento, protagonista assoluto delle pagine weberiane, così come del dialogo con gli altri colori della tavolozza dell’Ensemble.
Conserva la religiosa solennità, seppur nella trascrizione per fiati rispetto all’originale per archi, l’Introduzione a Le sette ultime parole di Cristo di Franz Joseph Haydn. Il fagotto di Giorgio Mandolesi sembra farsi carico della declamazione del sacerdote, e la sua voce, che si staglia sul tappeto ecclesiastico dell’Harmonie, appare all’ascoltatore come un raggio di luce che squarcia la semioscurità del Venerdì Santo, giorno per il quale Haydn ha scritto la composizione.
Non potevano mancare gli omaggi all’Italia, trascrizioni per fiati che rimandano all’ambito turchesco e iberico, con l’Ouverture dal Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini e con la Sinfonia in Sol minore per strumenti a fiato di Gaetano Donizetti. Al clima esotico si unisce l’inevitabile italiana vena drammatica e teatrale, resa con la massima pienezza armonica nella combinazione di stili e forme classiche.
Chiude il concerto la Marcia “Zapfenstreich” in Do maggiore WoO20 di Ludwig van Beethoven. Un vero e proprio galoppo che descrive la ritirata dell’esercito austriaco davanti alle truppe napoleoniche di inizio ‘800, prima della disfatta di Lipsia. Gli oboi di Alfreo Bernardini e Paolo Grazzi, in coppia con i clarinetti di Lorenzo Coppola e Danilo Zauli sono abili cavallerizzi che, a tutta velocità, conducono i propri cavalli in acrobatici salti mortali verso la salvezza.
Il concerto è stato apprezzato per la sua unicità di genere ed è stato inteso quale prezioso omaggio del rinomato Ensemble Zefiro alla letteratura per soli fiati, costituita da bellissime pagine cameristiche scritte in originale o trascritte dalle versioni per archi o per orchestra sinfonica.