
Brano tra i più noti della produzione verdiana non operistica, il Requiem colpisce per il suo forte pathos e il carattere drammatico.
Giuseppe Verdi, noto ateo e orgoglioso anticlericale, riuscì proprio nella Messa da morto ad esprimere tutti i suoi sentimenti religiosi e filosofici sulla vita e sulla morte, sfruttando i binari di un testo cattolico convenzionale per sferzare gli animi degli ascoltatori con la sua musica fuori dagli schemi.
Nel Requiem ci sembra di ascoltare il Verdi di teatro. Un po’ di Aida, un po’ di Simon Boccanegra e di Rigoletto e persino cenni di Otello, che doveva ancora vedere la luce. Orchestra, coro e solisti si comportano in effetti come un organico operistico, dialogando e concertando su un libretto drammatico.
La parola non si disperde nella musica, come quasi sempre accade nelle composizione religiose, ma mantiene una sua dignità e una sua chiarezza.
Eppure qui Verdi sembra cedere il passo a suggestioni mistiche e alle contraddizioni del senso della vita. Per quanto inconfondibilmente suo, il Requiem ci stupisce per la giustapposizione di brani di colore cupissimo e brani invece di sapore celestiale, oltre che per una dimestichezza insospettabile con l’interpretazione del testo religioso.
Il Verdi che nell’opera riesce a tratteggiare con la musica i suoi vari personaggi, nel Requiem arriva ad evocare vividamente i luoghi metaforici che la lingua latina descrive con un linguaggio incomprensibile ai più. Ancora una volta, il padre musicale della patria compie la sua missione nazionale ed eleva, e riscatta, il popolo italiano di fronte alla celebrazione del mistero della morte. La musica di Verdi traduce la preghiera latina, tanto per il comune volgo che per la borghesia più acculturata.
E del resto la storia del Requiem verdiano si incrocia con quella di due altri insigni “padri della patria”. Gioacchino Rossini, la cui scomparsa ispirò per prima a Verdi il desiderio di cimentarsi con una Messa da Requiem, e Alessandro Manzoni, il vate, che Verdi amava e rispettava moltissimo e al quale il Requiem è effettivamente dedicato.

Rappresentato per la prima volta nella Chiesa di San Marco a Milano il 22 maggio 1874, ad un anno esatto dalla morte del Manzoni, suscitò subito un grande impressione. Possiamo solo immaginare la bellissima chiesa di Brera per un terzo occupata da coro, orchestra e cantanti, risuonare la maestosa partitura del maestro.
La critica si divise. Da una parte i bigotti, dall’altra gli estimatori. Oggi il Requiem di Verdi è unanimemente accolto come un grandioso capolavoro di musica sacra.
L’interpretazione dell’orchestra e del coro de La Verdi è magistrale. L’organico meneghino esegue il suo cavallo di battaglia con un piglio deciso e con precisione tecnica sensazionale.
La direzione del maestro Elio Boncompagni, rispettosa dello spartito autografo, mette in luce tutta l’espressività del tessuto musicale e sprona La Verdi ad un’esibizione al limite dello straordinario.
Eccezionali i quattro solisti coinvolti, che non si risparmiano e mettono anzi in luce ottime qualità vocali ed espressive: Virginia Tola, soprano, Cristina Melis, mezzosoprano, Matteo Lippi, tenore e Dario Russo, basso.
La sala dell’Auditorium di Milano, stracolma, conclude lo spettacolo con lunghi e rumorosi applausi.
