The Grandmaster: la leggenda di Ip Man secondo Wong Kar-wai

[rating=4] Quando pensiamo ad un film sulle arti marziali, il nostro pensiero va subito a Grosso guaio a Chinatown, o Dalla Cina con furore con Bruce Lee  e  Jackie Chan, o ancora, The Drunken Master.

Alcuni, magari, possono pensare a La tigre e il dragone, Kill Bill vol.2, ed altri film del genere. In The Grandmaster, veniamo catapultati in un periodo buio della Cina, durante la guerra contro il Giappone, in cui dramma e lotta sono un tutt’uno con l’arte del Kung Fu, dando spazio anche alla profonda saggezza, che sappiamo essere quasi l’emblema di questo così grande Paese. The Grandmaster  (titolo originale Yi Dai Zong Shi),  girato nel 2009 e distribuito solamente nel 2013, è scritto e diretto da Wong Kar-wai.

La storia si basa sulla vita di Ip Man (o Yip Man), maestro di arti marziali Wing Chun, qui interpretato da Tony Leung Chiu Wai. E’ noto che anche Bruce Lee fu un suo allievo. Il film mostra alcuni momenti importanti del noto maestro durante l’occupazione giapponese in Cina. Ma il regista si concentra collateralmente anche su altri personaggi che ruotano attorno ad esso. Gong Yutian, (Qingxiang Wang), Gran Maestro del Nord, che unì gli stili profondamente diversi di combattimenti del Nord e Sud, ormai anziano decide di ritirarsi e lasciare la sua eredità al superbo e arrogante allievo Ma San (Jin Zhang), a cui ha svelato una parte dei suoi segreti di combattimento. Per un ultimo incontro prima del ritiro viene scelto Ip Man, come suo sfidante, in rappresentanza dello stile del Sud; la sfida, basata soprattutto sull’arguzia, volge a favore di Ip Man. Gong Er (Ziyi Zhang), figlia di Gong Yutian, erede unica della temibile tecnica delle “64 mani”, decide di sfidare il nostro protagonista per riscattare l’onore perduto del padre. Ma nella seconda parte della storia, durante l’invasione giapponese del 1936, le cose cambieranno radicalmente; chi sarà l’erede unico del Maestro del Nord?

The Grandmaster

Centrali nel film sono due scontri: quello tra Ip Man e Gong Er, all’interno del lussuoso bordello “Il Padiglione d’Oro”, e quello tra Ma San e Gong Er, decisa a riprendersi l’altra parte dell’eredità di suo padre. Il lavoro di Wong Kar-wai è un connubio tra dramma, storia e azione, molto ben riuscito in verità, in particolare sui dettagli storici della guerra e la biografia, molto romanzata, di Ip Man. Notevoli le scene di lotta Kung Fu, sia a Foshan che ad Hong Kong, dove il regista si sofferma soprattutto nel mostrare in maniera dettagliata le diverse mosse che compongono il Kung fu e lo stile Wing Chun, la concentrazione impressa sul volto, le espressioni dei maestri a confronto e il paesaggio che li circonda, che sembra attendere insieme allo spettatore, l’evolversi degli eventi. Potrebbe essere questo un modo per Wong Kar-wai di raccontare, con azioni rallentate, la dilatazione del tempo in relazione alla forte spiritualità che si deve raggiungere in questa disciplina, fatta di energia mentale che diviene una potente arma per chi è in grado di gestirla.

Interessante è anche il primo combattimento del film, in cui i primi piani delle gocce di pioggia che cadono sulla tesa del cappello di Ip Man, sembrano rappresentare l’energia che esplode dalle mosse di Ip Man, fondendosi con i movimenti decisi dei calci e delle mani. Ma non solo questo è rilevante nella storia del grande maestro, ma lo sono anche i sentimenti, quelli verso sua moglie e i suoi figli, e quello di Gong Er per lui, che non sfocerà mai in una relazione vera e propria, ma si fermerà al rispetto e alla stima reciproca. Gong Er, nel suo percorso, è spinta dalla sofferenza per la misoginia, un peso che grava su di lei come un grande masso, in un mondo dove l’inferiorità delle donne è considerata un dato di fatto, padrone incontrastate solo della loro casa, a parte qualche rara eccezione tra i ceti nobili.

The Grandmaster

Unica pecca del film, è purtroppo la difficoltà che si incontra nel seguire attentamente la storia, e tutti i numerosi personaggi che ruotano attorno ad Ip Man, ed una drammaticità intrinseca nei dialoghi che a volte rimane fine a se stessa; nonostante ciò, chi ama questo genere, non rimarrà certamente deluso dall’ottimo lavoro del regista che si distingue per l’accuratezza della ricostruzione storica di quegli anni e per aver raccontato una storia così intensa di emozioni, con i suoi personaggi inquieti, in cerca di una risposta ai loro dubbi esistenziali, dubbi a cui solo l’armonia e l’arte che traspira dal Kung Fu, può dar loro sollievo, seppure temporaneo.

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