
[rating=4] Al Teatro Comunale di Lamporecchio è giunta la ventata gelida e tagliente dell’ingegno di Steven Berkoff e del suo Kvetch (Piagnistei), in scena per la regia di Tiziano Panici.
Nell’apparente conformismo di una cena di famiglia si intersecano classici dialoghi di superficie e pensieri profondi, intrisi di rancori, rabbie e contrapposizioni. Ogni attore in scena ha il duplice ruolo di interpretare il “personaggio” in apparenza e i suoi “pensieri” più intimi, mentre gli altri attori restano bloccati in freeze, cosicché si contrappongono battute vere e pensieri altrettanto veri e roteanti.
Un marito, una moglie, un amico di famiglia, un collega di lavoro del marito, la madre della moglie: la commedia è un vortice di stanchezze, di voglie di fuga, di rabbie apocalittiche che deflagrano nell’intimo dei pensieri raccontati. Il padrone di casa modera le sue paranoie coltivando una simpatia da brividi e da sogno per l’innocuo, problematico amico a sua volta reduce da un disastro coniugale, mentre la suocera espleta la sua funzione regolamentare di disturbo, mentre la moglie si consola altrimenti, finché anche il nuovo compagno di vita del marito pronto ad alimentare una strana coppia darà segni pericolosi, tremendi e inqualificabili di partner muliebre, incline alle moine e allo stramaledetto trantran dell’anima gemella. Non si salva nessuno. La normalità o la diversità sono qui, categorie puramente immaginarie, da vecchio archivio.
In un ritmo serratissimo tra dialoghi detti e monologhi pensati, è il “non detto” a prevalere sull’apparenza dei dialoghi. La pulizia della regia di Tiziano Panici sottolinea sapientemente la differenza tra i due registri attraverso un abile uso delle luci di scena e la scelta del dialetto quale voce interiore. Il testo è stato ripreso quasi integralmente e le piccole varianti apportate non fanno altro che renderlo più fluido e attuale.
I quattro giovani attori in scena Ivan Zerbinati, Laura Bussani, Simone Luglio e Federico Giani hanno interpretato con buona maestria il doppio registro imposto dal testo, entrando ed uscendo dal personaggio con energia e ritmo dall’inizio alla fine della commedia.
Il testo sapientemente disegnato da Berkoff è crudo, urtante, smascheratore e beffardo, sfodera artigli con cui ferire e insieme far ridere. Distrugge qualunque tipo di idea della famiglia felice e ci mostra un quadro fatto di repressioni mentali, voglia di evadere, insoddisfazioni, paure. La commedia è infatti un vero monito ad ogni genere di paura: paura delle malattie, della disoccupazione, delle multe per divieto di sosta, dei vuoti di memoria, di dire quello che si pensa, di rischiare, di perdere soldi, di guadagnare troppi soldi, della paura di aver paura.
Un testo originale e contemporaneo, che spinge la riflessione e non lascia indifferente nessun genere di spettatore. Chissà quante persone in sala, tra una risata e un colpo di stupore, avranno annuito dentro di sé, nel proprio intimo, e si saranno riconosciute in uno dei personaggi, nei suoi pensieri e in quel “non detto” che troppe volte fa paura.