
[rating=4] Martedì 18 ottobre ha debuttato in prima nazionale al Teatro Gobetti di Torino l’originale omaggio alla Signorina Felicita ovvero la felicità, in occasione delle celebrazioni dei 100 anni dalla morte di Gozzano. Per Lorena Senestro, unica attrice dello spettacolo e fondatrice insieme al regista Massimo Betti Merlin dell’anticonvenzionale e seguitissimo Teatro della Caduta, è il primo allestimento coprodotto con il Teatro Stabile di Torino.
In questa personalissima rivisitazione del poemetto di Gozzano cambia il punto di vista. È Felicita che racconta se stessa e il poeta stroncato dalla tubercolosi a soli 32 anni. In un sovrapporsi di dialoghi sconnessi immaginati col poeta, ritroviamo Felicita cristallizzata nel tempo in compagnia del padre un po’ zotico, nell’austera dimora Villa Amarena, tra i rituali del the, delle conversazioni pettegole del mondo provinciale e i fantasmi delle cose che potevano essere e non sono state. Felicita si aggira con grazia nella struggente nostalgia del passato aspettando il poeta, tra mobili sproporzionati come le distorsioni che crea la memoria quando fatica a staccarsi dal passato. È un rivivere l’idillio sfiorito sul nascere, frantumato in cocci come il servizio da the che Felicita porge ad ospiti immaginari in uno stanco balletto da vecchio carillon.
Accompagnata dall’umorismo del pianista da tabarin torinese Andrea Gattico, la talentuosa e intensa Lorena Senestro riesce a oscillare continuamente dall’ironia alla nostalgia senza scivolare nella rappresentazione bozzettistica, ma restituendo il lirismo e la musicalità del poeta. Emergono così tutte le cifre della contraddittoria poetica di Gozzano: la parodia spietata del mondo provinciale gretto e goffo, l’aridità sentimentale giocata con l’amara ironia di chi vuole nascondere il disperato bisogno di amare ed essere amati, l’abbandono intenerito alla freschezza di un’ingenua fanciulla, esistita veramente nella vita del poeta ma con un altro nome, il protendersi nostalgico verso un passato semplice e rassicurante. È una Felicita per metà goffa e incolta, simbolo dell’umile mondo provinciale e per metà divinità antica, perché segno di un ideale di vita genuina e schietta, lontano da ogni gelido orpello intellettualistico e dai miti estetizzanti della sensibilità moderna.
La Senestro, che è anche autrice dello spettacolo, racconta di essere sempre stata affascinata dalla ricchezza di temi ancora attuali di Gozzano e di avere immaginato questo omaggio al poeta come un dagherrotipo “una vecchia foto in cui possiamo riscoprire tutto ciò che ci portiamo dietro, il nostro passato prossimo e remoto. Solo sulla scrittura, ci ho lavorato per sei mesi, soppesando ogni singola parola del poemetto e cucendo pazientemente, come Felicita fa con le camicie del padre, brani di quel testo all’interno di una “trama” inventata da me”.