
[rating=4] Il sipario del teatro Arena del Sole di Bologna è ancora chiuso e Alessandro Bergonzoni inizia a parlare al microfono, ci racconta di un salvataggio, di un uomo rimasto solo e al buio e di un’altro che cerca di aiutarlo, dandogli supporto psicologico e consigli pratici. “Hai una pila? Si ho una pila, allora usala! Ma è una pila pila!” “La prossima volta ti dico io come devi vestirti!”. Ovviamente il grande monologhista bolognese fa ridere fin da subito, intessendo una rete di frasi in modo apparentemente casuale ma studiatissimo: ogni parola apre la porta alla successiva, in un imprevedibile percorso a zig-zag senza un’apparente meta finale. Invece il percorso c’è eccome: si intuisce all’inizio soltanto subliminalmente che stiamo assistendo ad una nascita, un bimbo al buio della pancia materna è aiutato da un ostetrico che cerca di farlo nascere.
“Lo sai che gli inglesi misurano in piedi? Si ma io qui sono sdraiato!”, lo spettacolo è molto scoppiettante anche se a volte si fa un po’ fatica a seguire il fiume di doppi sensi, sbandamenti e derive lessicali che spostano l’attenzione altrove. Quando si apre il sipario si vedono tre incubatrici su un palco buio e fumoso di mistero. Si intuisce che Bergonzoni è quell’ostetrico e anche il traghettatore, l’alfa e l’omega di questo viaggio che salta rapidamente da concetti futili ad importanti, da frasi poetiche (“hai tutta la vita davanti, raggiungila!”) ad interpretazioni etimologiche davvero divertenti. “Aveva dei bei capelli, DEI bei capelli, neanche tutti, andavano cercati…”, i “malpensanti stanno arrivando dall’aeroporto milanese?” o il nome che avrebbe voluto dare a suo figlio se fosse stato sordo: “Invano”, così “oggi si è laureato Invano” diventa una velato riferimento alla disoccupazione e “non nominare il nome di Dio Invano” sembra un comandamento ad personam.
L’attenzione si sposta sulla paternità, il rapporto padre-figlio, “un amore filiale perché è una banca”, ma soprattutto sul tema vero e proprio dello spettacolo: la vita e la morte, due facce della medesima medaglia. Bergonzoni, a Bologna l’anno scorso in occasione di Arte Fiera, ha dato origine al suo movimento “La vita in fasce (le vite in braccio)” semplicemente applicando al braccio un nastro di stoffa, che da allora lo accompagna in tutte le sue apparizioni pubbliche, da un lato bianco e dall’altro nero, nascita e morte. In ogni momento, in ogni istante c’è almeno una persona che sta arrivando su questa terra e una che invece la sta lasciando, e girando la fascia dal lato nero al bianco e viceversa si passa dalla gioia del lieto evento alla tristezza della dipartita. Nello spettacolo queste emozioni però non compaiono, frammentate e ovattate, restano fredde e razionali. A testimonianza dell’asetticità dell’argomento, sulla sua pagina internet c’è un contatore del tutto simile a quelli per conteggiare gli accessi ad un sito ma che invece enumera morti e nascite. “Facciamo sempre funerali ai morti, mai ai vivi”, e non pensiamo mai a come sarebbe bello “parlare con un padre in punto di vita e non di morte”. Questo confine è molto labile: il bimbo nella pancia all’inizio pensa di star per morire eppure sta per nascere, “sto morendo! Espira!” che può essere letto come respira o espira, una parola che si trova quindi fra vita e morte.
Bergonzoni gioca con le parole in modo eccelso, crea immagini e devia bruscamente da un pensiero all’altro, fa ridere e salta altrove, trattando, con il suo stile inconfondibile, tematiche non esattamente da spettacolo comico. La staticità dello spettacolo è smorzata da variazioni di tonalità e di ritmo ben calcolate. Solo lo spettatore attento coglie, in questa marea di battute il più delle volte riuscite ed imprevedibili, questi dubbi esistenziali, ma d’altra parte Bergonzoni dice di sé stesso: “non sono un personaggio e non sono rassicurante, è più faticoso ma è molto piacevole”.