Correnti nella baia, una giovane compagnia esplora un testo mai rappresentato di Alfredo Balducci

In scena all'Antigone una versione non proprio convincente di un Vladimir ed Estragone calabro-campani dispersi in mare

Danilo D'Agostino e Giuseppe Moscarella protagonisti di "Correnti nella baia" di Alfredo Bladucci in scena al teatro Antigone di Roma dal 7 al 9 febbraio 2025.
Danilo D'Agostino e Giuseppe Moscarella protagonisti di "Correnti nella baia" di Alfredo Bladucci in scena al teatro Antigone di Roma dal 7 al 9 febbraio 2025.

Chi mi legge da tempo conosce la mia reticenza nello “stroncare” giovani artisti. Ma gli è  pure nota la mia attitudine a esprimere osservazioni critiche anche su testi di autori noti e/o scomparsi. Come d’altro canto ho fatto di recente col Barabba di Tarantino proprio su queste pagine digitali. Si parla stavolta di Correnti nella baia di Alfredo Balducci. Testo premiato nel ’79 al Premio Pirandello. Leggo poi online di molti altri riconoscimenti offerti a Balducci in ambito teatrale. Testi che in un preciso momento storico sono stati evidentemente espressione di un sentire artistico condiviso.

L’autore è stato un drammaturgo attivo principalmente fra gli anni ’60 e ’80, cosa che apprendo, come tutto il resto, dalla rete. Devo infatti confessare, con mia somma ignoranza, di non aver mai sentito parlare di Balducci prima di assistere appunto a Correnti nella baia, in scena al teatro Antigone di Roma dal 7 al 9 febbraio 2025. La mancata conoscenza della poetica di questo autore potrà evidentemente rappresentare un limite in questa recensione, che tuttavia voglio comunque realizzare perlomeno con lo spirito di un’osservatrice.

La pièce è stata diretta da Giuseppe Calabrese e Francesco Esposito. Il primo giovane regista napoletano e il secondo ahimè così ricco di omonimi in campo artistico, da non essere riuscita a studiarne la carriera. La produzione è a cura di Napart’. Di cui indovino la provenienza pure partenopea dal fascinoso logo con sirena fronte Vesuvio. A dare corpo e voce al pezzo due giovani e aitanti interpreti: Danilo D’Agostino (ai più noto come volto de Il paradiso delle signore) e Giuseppe Moscarella (Mister Italia 2020, poi formatosi come attore alla Cilea Academy sotto l’egida di Lello Arena).

Fatte queste premesse informative e lasciando adito allo spregio di quanto seguirà, per scarsa preparazione teorica sull’autore (che comunque studierò nelle prossime settimane) ecco la mia analisi. Correnti della baia vuole in buona sintesi offrire un’interpretazione metafisica fra la superficie dell’agire e la coscienza dell’essere. Queste due istanze vengono incarnate in scena da due distinti personaggi: Leo e Tono. Il primo dinamico e irruento e il secondo riflessivo e filosofeggiante. Le correnti del titolo farebbero in tal mondo riferimento al flusso degli stati emotivi che attraversano tanto i protagonisti che gli spettatori in sala.

Metafora assoluta il viaggio in mare. Anzi ad essere più precisi il fatto di perdersi nel presunto infinito marino. Con tutto il suo carico di ansie e paure sul concetto di “sconosciuto”. Un perdersi fra le onde su una piccola barca, che potrebbe facilmente rappresentare l’animo umano. Da sempre in lotta fra l’avventatezza e la riflessione. O ancora meglio fra chi crede di non vedere niente e chi invece, non vedendo affatto, vede tutto. Già perchè in più Tono è cieco. Altra metaforona su cui non è neccessario spendersi oltre…

Ora questo è tutto quello che sono dovuta andare a leggere, per “capire” il messaggio dello spettacolo. Facciamo finta però che la me più metodica si sia scissa per un momento dalla me spettatrice, spoglia di qualsiasi preparazione mentale alla visione. Cosa ha visto questa spettatrice media senza particolare attitudine alla filosofia? Due tizi che si perdono in mare aperto. Parlano di orologi, lenze, naselli, fidanzate al Varietà e poi a un tratto uno dei due forse ammazza l’altro. Scena peraltro para para all’omicidio di Dickie Greenleaf ne Il talento di Mr Ripley.

Un’ora a di dialogo sul niente. Sì d’accordo c’è da cogliere il sottotesto. Ma se la richiesta implicita fatta al pubblico è quella di tradurre tutto in modo simultaneo col vocabolario dei significati sottesi in mente. Io cedo. Se davvero dovessimo centellinare ogni singola battuta andando a caccia, anzi a pesca (così rimaniamo in tema) della sottotraccia metaforico-metafisica, si farebbe uno sforzo mentale francamente inappropriato per uno spettacolo teatrale. E infatti non succede. Nè io nè il gruppo di persone che era con me è stato in grado di farlo. Siamo rimasti dunque e, resto ancora in tema, sulla superficie.

Una scena di "Correnti nella baia" di Alfredo Balducci in scena al Teatro Antigone.
Una scena di “Correnti nella baia” di Alfredo Balducci in scena al Teatro Antigone.

E non per mancanza di curiosità verso questo prodotto teatrale, che altrimenti non ci saremmo andati a spulciare nel maremagnum delle proposte capitoline. Niente l’aggancio marino mi ha presa a lenza. La smetto. Dunque perchè non abbiamo apprezzato o al più “capito” lo spettacolo? Flaiano scriveva ironicamente che nel passaggio “dalla veglia al sonno” si materializza lo “spettatore perfetto” e forse in qualche modo, io ho realizzato le istanze di almeno uno scrittore, questa volta. Sento già il malumore di chi legge salire dabbasso. Dalle profondità recondite del background socio-culturale di chi ricorda ancora il teatro sociale, l’avanguardia, le rappresentazioni fiume degli anni ’70, l’anti-rappresentazione carmelobeniana.

Eppure io che milito maldestramente nelle fila dei “gazzettieri”, o dei cosiddetti “spettatori estetici” tanto per citare ancora il maestro Bene, ho bisogno parafrasando Piergiorgio Giacchè, di passare tutte e tre le “fasi” dello spettore. Ospite (talvolta perfino inatteso), poi testimone e infine complice. Una tripletta che si realizza quando il mondo interiore dell’autore diventa cosa sola con l’arte. E allora mi domando, dove accade esattamente questo in Correnti nella baia? O meglio nella sua “rappresentazione” a cui ho assistito? Cosa mi porto davvero via da tutto questo?

Beninteso che Balducci è una penna pluripremiata, ipertradotta e rappresentata ma… Non con Correnti nella baia. Opera mai stata messa in scena. Un pezzo Che forse poteva incarnare un bell’esempio di teatro (magari dell’assurdo) con la felice crasi fra un Franco Parenti e un Jacques Lecoq. Però qui con tutto il rispetto per le istanze artistiche in gioco all’Antigone, non ci si può misurare con questi giganti.

Mi torna in mente Aspettando Godot, anche lì c’erano una coppia di vagabondi, anche se non per mare. Vladimir ed Estragone, che pure solcavano un certo tipo di onde, quelle della parabola dell’esistenza, mettendo in scena parimenti un serrato dialogo. E solo quello. Perchè di azione, com’è noto, non ce n’è. Mi ricordo distintamente di percorsi di visione fatti proprio su quel testo, su spettatori del tutto acerbi dal punto di vista teatrale. Parliamo di persone che a teatro non andavano spesso, o non erano proprio mai andate. Eppure tutti e dico tutti coglievano in quel viaggio dell’attesa una chiamata. Non ho potuto fare a meno di domandarmi se quel medesimo gruppo di spettatori avesse colto lo stesso in Correnti nella baia. Perchè io nell’esclusione più o meno diretta dello spettatore puro, non ci ho mai creduto.

Mettiamo allora per un attimo da parte la presenza sempre calorosa di amici, parenti, varie ed eventuali all’Antigone e parliamo proprio allo spettatore nudo. Quest’opera dal mio personale e sempre opinabile punto di vista non è riuscita nell’intento di ibridare la materia artistica nel pensiero del suo autore. Colpa del testo? Della messa in scena? Forse di entrambe, per quanto ho apprezzato i tagli di luce nel buio e l’evocativa costruzione scenica di Roberta Guasco (probabilmente la cosa più bella). Anche se il povero D’Agostino ci avrà guadagnato qualche livido in diverse occasioni, considerando le volte che ci ha urtato contro.

Non si tratta propriamente di un problema registico, anche se per tutto il tempo mi chiedevo come fanno un calabrese e un napoletano ad essere cresciuti insieme e poi essere divisi nell’idioma. Non è un problema di recitazione, anche se a tratti Moscarella mi è sembrato esacerbare una modalità alla De Crescenzo. Allora cos’è? Credo e qui concludo e ancora resto in tema marinaresco, un fatto di nodi concettuali molto pensati, ma poi non sciolti. Ipotizzo che nelle intenzioni dell’autore doveva realizzarsi in scena l’incontro fra substrato e superficie lungo una linea d’ombra (e poi la smetto con le citazioni) che avrebbe portato alla conquista o riconquista della coscienza. Tutto questo però non è accaduto. Quanto meno in me non ha prodotto questa consapevolezza.

La pagina è insomma rimasta muta. Non mi spingo oltre sulla drammaturgia, anche per il prezioso lavoro di raccolta e fruizione delle opere di Balducci che scopro online e di cui spero di farmi presto o tardi edotta. Voglio invece spendere un elogio sullo sforzo passionale di tutti i giovani talenti in scena, dalla regia alla scenografia. Dalla suggestiva atmosfera di sospensione alle belle musiche di scena (composte da D’Agostino) passando per performance degli attori che hanno comunque restituito genuinità nella loro interpretazione. Si percepisce la serietà e l’impegno messi nella costruzione dello spettacolo. Doti preziose e non scontate da mettere al servizio del talento.

Questa è solo una piccola critica male edulcorata che spero possa offrire qualche spunto di riflessione. Laddove dopotutto il mio mancato elogio, si aggrappa nientemeno che a una delle battute del testo, quando Leo chiede se tutto si riduca al dramma del vedere o del non vedere e Tono risponde: “Ce ne sono altri?” È tutto qui.