
Da diverse settimane abbiamo cercato di avviare una ricerca per indagare in che modo sul territorio nazionale stanno reagendo le realtà artistiche, nella fattispecie teatrali. Dall’inizio dell’emergenza Covid-19 infatti il settore spettacolo è quasi misteriosamente “scomparso” dai tavoli della discussione politica e di quando in quando sui media è stato possibile raccogliere solo le testimonianze degli spazi più grandi e rinomati. Abbiamo allora pensato di censire a partire dalla capitale le circa 50 realtà teatrali entro i 150 posti con un cartellone annuale e chiedere ai loro direttori in che modo vogliono far sentire la loro voce con proposte e idee per il futuro. Ecco cosa ci hanno detto.
Ottavia Bianchi e Giorgio Latini di Altrove Teatro Studio ci hanno da subito risposto che è necessario un intervento diretto dello Stato e delle politiche reali, chiedere ai teatri di dimezzare i posti con disposizioni “a scacchiera” (come da ultima proposta dell’Agis) significa decretare la morte degli spazi cosiddetti minori.
“Chiederci di resistere solo per amore del nostro mestiere eliminando qualunque tipo di remunerazione, sarebbe lo schiaffo finale ad un settore che è stato bistrattato da molti anni […] il teatro che non può e non deve essere considerato un passatempo inutile praticato da gente che per vivere ha altre risorse perché non è così. Si pensi quindi ad un fondo perduto che permetta a tutti gli spazi teatrali, non solo ai grandi nazionali, ma a tutti, anche e soprattutto ai piccolissimi teatri e teatrini privati che sono l’humus del tessuto sociale di molti territori, di avere materiale gratuito per le sanificazioni, le misurazioni della temperatura e guanti e mascherine per tutti. Questo per il periodo di passaggio che obbligatoriamente dovremo vivere.
Sul teatro in streaming non ci vogliamo pronunciare perché a nostro avviso non è neanche una vaga possibilità a cui pensare, affosserebbe ancor più un settore già in difficoltà e non fa che sottolineare la completa ignoranza del nostro Ministro di cosa significhi vivere in teatro e di teatro.”
Anche Manuel Parruccini del Teatro Lo Spazio esclude la possibilità di un pubblico contingentato, evenienza che impedirebbe la riapertura dei teatri più piccoli, ma ci ha parlato anche delle iniziative dell’UTR (Unione Teatri di Roma) fra le quali un sostegno economico ai teatri extra FUS (Fondo Unico dello Spettacolo), ribadendo infine l’importanza di una “campagna di sensibilizzazione nei confronti del pubblico, per farlo tornare nelle sale con tranquillità”.
Daria Veronese da Ar.Ma Teatro ha parimenti sottolineato la necessità di veicolare un efficace “messaggio di sicurezza, dopo un periodo di così grande paura, rassicurando i frequentatori degli spazi che sono state prese tutte le misure necessarie per evitare rischi. Servirebbe, per il futuro una maggiore attenzione alle molteplici realtà teatrali e culturali. Sarà fondamentale riavvicinare il pubblico, ancor più, al teatro. In questo difficile compito, sarà di aiuto il vostro lavoro di comunicazione, che già svolgete per noi in modo indispensabile da sempre, per superare le normali preoccupazioni dopo un periodo così devastante, rassicurando e incoraggiando le persone a ritornare o venire a teatro. Anche noi tutti, come categoria, vorremmo dare il nostro contributo a una ripresa emotiva, sociale, economica e culturale del Paese.”
Dal Teatro Trastevere Marco Zordan ci parla di un sistema teatrale un po’ narcisistico che andrebbe in qualche modo smontato come più volte ribadito anche da diversi altri articoli del nostro webzine. La volontà è quella di un “dopo” che tenga conto del “prima” e che reagisca tenendo conto di quanto accaduto in questi mesi. Marco ci parla della necessità di “tenere aperto il teatro il più possibile, permettendo alle compagnie di mettersi all’opera per nuove creazioni” e al pubblico di poter vivere il teatro anche solo “per un caffè, un libro, uno sguardo. Nel frattempo adibire lo spazio teatrale ad una sorta di museo dell’esperienza dello spettacolo dal vivo, per tenere viva la differenza tra lo schermo e l’esperienza diretta. Pensiamo inoltre se sarà possibile di lavorare nelle strade del nostro quartiere, per rafforzare il legame tra luoghi fisici e territorio, a nostro parere, la ricchezza da cui ripartire.”
Molto interessante la risposta di Alessandro Di Murro del Teatro Basilica che batte su due delle questioni ampiamente discorse anche delle assemblee digitali di Autorganizzati dello Spettacolo, un movimento trasversale di esperienze e professionalità del campo teatrale che si sono finalmente incontrate per mettere su carta le proposte di un post-corona che ponga attenzione alle esigenze di lavoratori dello spettacolo e pubblico.

“Il sistema teatrale è in difficoltà da tempo, quantomeno da quando io ho iniziato a lavorare. Di conseguenza per noi il teatro è sempre stata una forma di resistenza o meglio una scelta di resistenza, che credo non abbia nulla a che fare con la passione, rientra piuttosto nell’ambito della vocazione.
Certamente ci troviamo in una situazione mai vista in senso globale. Con il mio collettivo Gruppo della Creta e la mia socia Daniela Giovanetti proprio in questo sfortunato anno avevamo scelto di ridare vita ad uno dei più splendidi piccoli teatri di Roma, ex teatro Sala Uno, adesso Teatro Basilica, grazie al sostegno di un grande maestro del teatro italiano come Antonio Calenda. La condizione attuale può però essere per tutti uno spartiacque tra un prima, che non funzionava, e un dopo, che sta a noi costruire e reinventare. La necessità più grande ora è quella di costruire un’associazione di categoria, attraverso cui avanzare proposte e porle all’attenzione di chi ha l’onere e il potere di fare qualcosa in merito. Non credo che avverranno cambiamenti epocali, ma se a partire da questi mesi così difficili riuscissimo a costruire strutture di aggregazione potremmo ricostruire il teatro dalle sue fondamenta e cioè dalla comunità di coloro che lo fanno. Se questa comunità sarà forte allora attrarremo anche la comunità più importante: il pubblico. Ma ci sarà bisogno anche di un cambio di paradigma del teatro. C’è bisogno che chi fa teatro intercetti le necessità del pubblico. Questo non vuol dire puro intrattenimento ma portare in scena qualcosa che veramente ferisca, intenerisca ed emozioni chi guarda perché ciò che sta guardando lo coinvolge direttamente. Dobbiamo riportare il teatro nella sfera politica e sociale del nostro paese. E questo è un nostro compito. Attori, autori e registi devono compromettersi in ciò che fanno a tal punto da costringere lo spettatore a essere compromesso anche egli.”
Queste sono solo alcune delle testimonianze raccolte, ma il cantiere è aperto ed invitiamo tutti a contattare la redazione per un doveroso spazio di dialogo che dovrà finalmente essere aperto anche con le istituzioni della cultura, troppo spesso distratte o conniventi con una realtà artistica per la maggior parte malata, che sembra fagocitare di continuo dall’alto disponibilità di ogni sorta senza seguire le regole della trasparenza e del merito. Il piccolo grande popolo delle maestranze e delle realtà artistiche più genuine, quelle che sono sorte dal contatto col territorio, dalla crescita diretta a contatto col principale fruitore del mezzo teatrale e cioè il pubblico reale, stanno facendo sentire sempre più forte la loro voce e bisogna esigerne almeno l’ascolto.
Nelson Mandela ha detto “Niente come tornare in un luogo rimasto immutato, ci fa scoprire quanto siamo cambiati”.