
[rating=4] “Life is a Cabaret”: il mefistofelico, decadente Maestro di Cerimonie Giampiero Ingrassia, in frac nero e trucco a metà tra “Il Corvo” e ” Joker” di Batman apre lo spettacolo e turbando ci introduce nel suo Cabaret, Il “Kit Kat Club”, un night della Berlino anni ’30 dove si vogliono far dimenticare i problemi a suon di alcool e sesso; il gioco qui è far finta che la vita sia il cabaret.
Protagoniste le trascinanti coreografie di Gillian Bruce, con le licenziose ballerine che cantano e danzano in modo molto lascivo e degradato, forse magari accentuandone anche un pò troppo l’aspetto volgare. Tra le danzatrici spicca Sally Bowles, giovanissima ragazza perduta, e a interpretare il ruolo, che valse l’Oscar a Liza Minnelli nel film del’72 di Bob Fosse, Giulia Ottonello, vincitrice della seconda edizione del Talent Show “Amici”. Scordatevi il caschetto nero e il trucco bistrato, qui hanno -giustamente- pensato che non fosse il caso di imitare l’inimitabile e hanno cambiato registro. La Sally Bowles voluta dal regista Saverio Marconi è fresca, naturale, quasi acqua e sapone, lunghi capelli rossastri sciolti, insomma tutt’altro genere; grandi doti vocali comunque e una bella interpretazione: buffa, infantile a tratti ma convincente.
Nel night arriva il giovane romanziere americano Cliff Bradshaw, appena giunto in città in cerca d’ispirazione per il suo nuovo romanzo, un Mauro Simone bravo nel far sì che il suo personaggio, che deve essere molto meno caratterizzato degli altri, un pò understatement, un dolce e tenero intellettuale, non venga sopraffatto dagli altri caratteristi; un carattere che almeno inizialmente ricorda molto il Paul Varjack di “Colazone da Tiffany”, salvo poi differenziarsene caratterizzandosi per l’ignavia e il lasciarsi vivere. Tra Sally e Cliff scoppia l’amore: la ragazza si trasferisce nella stanza che lui ha affittato nella pensione della Fraulein Schneider (un’invecchiata ad arte, ottima Altea Russo) e dove vivono tutti i protagonisti dell’opera, anche la sensuale Fraulein Kost di Valentina Gullace, sempre a caccia di marinai per sbarcare il lunario.
Ingegnosa l’idea di separare con un telone bianco il club dalla vita vera nella pensione con le tre camere dei protagonisti. Apprezzabile anche l’idea dell’insegna “Cabaret” penzolante in un angolo dall’inizio alla fine, cadente, come cadente è quel mondo che non vuole accorgersi dell’avvento del nazismo finchè non piomba direttamente nelle vite dei personaggi, impedendo il matrimonio tra la Frau Schneider e l’ebreo Herr Schultz, impersonato da Michele Renzullo, uno dei fondatori della Compagnia della Rancia nonchè autore delle traduzioni delle famose canzoni.
Sì perchè, per aumentare la comprensione e il godimento del pubblico, le canzoni sono tutte tradotte, da “Money” a “Life is a cabaret” a “Mein herr” a “Maybe this time”: brani che hanno fatto la storia del musical in questo spettacolo dal finale ancora più duro, incisivo e geniale, che qui non vogliamo svelare.
Un’altra splendida e godibilissima prova della Compagnia della Rancia in uno dei musical più belli e dolorosamente attuali di sempre.