Roberto Abbado interpreta le opere di Busoni e Ravel

Una direzione che non lascia spazio a sentimentalismi ma, nel contempo, è attenta ai particolari e con una predilezione per le varietà nelle dinamiche

[rating=3] La serata di domenica 19 maggio al Teatro Manzoni di Bologna è dedicata a due capolavori del ventesimo secolo. Il primo è la Turandot Suite, scritta da Ferruccio Busoni nel 1905, seguita dalla versione orchestrale di Ravel dei Quadri da un’esposizione, uno dei lavori più eseguiti del compositore francese.

A suonarli è l’orchestra del Teatro Comunale, presenza fissa sui palchi cittadini, guidata per l’occasione dal M° Roberto Abbado. La formazione è rinforzata con diversi musicisti aggiunti, per far fronte alle esigenze di organico delle due composizioni.

Turandot è un nome che si associa immediatamente a Puccini, ma occorre ricordare che, prima della celebre opera del compositore toscano, la storia della principessa cinese ha affascinato altri artisti, soprattutto in un’epoca in cui si andava scoprendo un mondo extra-europeo per molti tratti sconosciuto.

L’ambientazione esotica si scorge subito nell’apertura della Turandot Suite, con i piccoli timpani, già marziali a sottolineare il tema de L’esecuzione, esposto dal corno inglese con gli altri legni. La drammaticità è resa splendidamente da un lungo passaggio dei violini e delle viole all’unisono. Gli archi sono utilizzati per il loro virtuosismo anche all’inizio del secondo movimento (sono in tutto otto le sezioni della Suite); la musica parte dalle viole e, come un’onda, si sposta ai violini secondi, poi ai flauti e ai clarinetti, fino ad infrangersi sul ritmo della marcia grottesca di Truffaldino.

I numerosi motivi orientali della Suite sono spesso accompagnati dai ritmi marziali, in una sorta di contrasto che caratterizza tutta l’opera e che rispecchia i sentimenti ambivalenti della protagonista. Busoni gioca con le sezioni dell’orchestra in un dialogo continuo, riservando l’uso dell’intero organico per gli effetti più prorompenti. Alla nutrita sezione degli ottoni del Comunale è affidata l’atmosfera notturna della Marcia di Turandot, a cui rispondono gli archi nel loro registro grave.

Orchestra del Teatro Comunale di Bologna_foto_Rocco Casaluci

Non sembra essere concesso spazio al sogno a questa Turandot, resa ancora più severa dalla direzione rigorosa di Abbado. Solo nel movimento successivo, la celeberrima melodia di Greensleeves scioglie la tensione. Busoni la inserisce in un dialogo tra le due arpe e i due flauti, semplicemente delizioso. La capacità di orchestrazione e l’attenzione per il suono raggiungono altissimi livelli anche nella danza successiva, una ricerca sonora che ben si sposa con la direzione di Roberto Abbado, sempre attenta alle dinamiche e ai giusti equilibri dei timbri strumentali. La cura con cui viene affrontato il pianissimo degli archi nel finale testimonia questo approccio. La Suite si chiude con la ripresa della danza condotta dai violini, punteggiati dall’effetto ad arco gettato dei violoncelli.

La seconda parte della serata è dedicata a quei Quadri da un’esposizione, opera pianistica del 1874 di Musorgskij, che non ha lasciato indifferente Maurice Ravel, la cui versione per orchestra risale al 1922. Certo, per chi ha fresca nella memoria la versione originale per pianoforte, è difficile non fare paragoni; la Promenade eseguita dalla tromba non ha il fascino percussivo ed essenziale del piano. Lo stesso dicasi per il primo quadro, Gnomus, in cui l’esecuzione degli archi, per quanto agile, non rende l’effetto rapsodico originale. E’ solo con Il Vecchio Castello che la partitura assume una sua identità, grazie soprattutto al suono del sassofono, sempre troppo poco presente nelle fila delle orchestre. In particolare in questa serata bolognese il direttore sembra godere della morbidezza di questo timbro e lo guida verso un decrescendo finale esasperato ed eseguito magistralmente. Anche il quadro Bydlo riserva un solismo ad uno strumento solitamente poco protagonista come la tuba, una parte di cui si percepisce tutta la difficoltà esecutiva.

Roberto Abbado

Il genio di Ravel compare nella sua interezza quando ascoltiamo la Danza dei pulcini nei loro gusci. Non riesco ad immaginare un modo migliore per affrontare questo tema con l’orchestra, ogni strumento diventa un tassello di un enorme mosaico di timbri diversi. E’ stupefacente anche la costruzione che si viene a creare nel Mercato di Limoges, così come nella scena di Baba Yaga, che vede gli archi correre veloci, quasi a fuggire dagli interventi pesanti degli ottoni. L’effetto è volutamente lugubre. La grande porta di Kiev ha un sapore da gran finale, molto più pomposo della versione pianistica, fatto apposta per far risaltare la potenza effettistica dell’orchestra.

Una serata decisamente piacevole quella proposta al Manzoni, soprattutto per la pagina della Suite di Busoni, che si ascolta più raramente. La direzione non lascia spazio a sentimentalismi ma, nel contempo, è attenta ai particolari e con una predilezione per le varietà nelle dinamiche. La riuscita del concerto è confermata dal pubblico che, pur se non numerosissimo, risponde con grande calore all’esecuzione.

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