Suburra. Quando una bella fotografia non basta

[rating=2] L’intento è girare un kolossal all’americana – patinato,  impeccabile, patetico. Perfettamente riuscito. L’idea è  portare sul grande schermo i legami tra il Vaticano, il Parlamento italiano e la criminalità organizzata. Surclassata. E irritante, soprattutto se proposta sotto forma di romanzesco atto unico noir, condito da storie d’amore annegate nella droga.

La spettacolarizzazione della violenza è un insulto alla realtà? Martin Scorsese ne ha fatto una cifra stilistica. Ma la mano sporca, malinconica, inevitabile del grande regista statunitense, giustifica l’estetica dei suoi film.

Suburra, invece, pare il prolungamento di una fiction televisiva a puntate (fra l’altro lo diventerà davvero, come dichiarato recentemente), dove scene di sesso esplicito si alternano a sparatorie. La trama, tratta dall’omonimo romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, è uno spaccato della democrazia italiana contemporanea, segnata da scandali, corruzione, marasma politico. I punti chiave sono la dimissione del Presidente (2011: dimissioni di Berlusconi dopo lo scandalo Ruby), le dimissioni di Papa Ratzinger, la faida tra bande criminali al servizio del potere.

Un team di attori di successo porta avanti la recitazione. Claudio Amendola, improbabile gangster, Favino, politico corrotto dedito a un giro di prostituzione e droga, Elio Germano, bravo – ma piatto – organizzatore di eventi, che finisce immischiato nella poltiglia crimonosa di Roma Capitale.

Morte, degenerazione, denaro sporco, tutto è filmato con perfezione visiva, e condito con una colonna sonora strappalacrime. Ci chiediamo che fine abbia fatto il cinema italiano, quello leggero, impegnato, polemico, aggraziato.
Suburra è un lungo déja vu.

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