
Presentato negli spazi dell’Alcazar Garden di Roma il 24 settembre, in seno agli appuntamenti de “La Domenica dell’Attore”, l’intenso e indimenticabile “Cocci“. Parliamo del cortometraggio d’esordio alla regia cinematografica di Agnese Fallongo. Proprio lei, l’apprezzata interprete e drammaturga della compagnia Agnese&Tiziano (Tiziano Caputo, autore anche della colonna sonora di Cocci), che rivedremo in scena quest’anno in diversi teatri romani e non solo.
Talento non mente. La Fallongo che ho qui recensito per i tre splendidi spettacoli della Trilogia degli ultimi, realizzati fra il 2017 e il 2021 con la sua firma autorale: “I Mezzalira”, “Letizia va alla guerra” e “Fino alle stelle” (co-autore Caputo), passa dietro la macchina da presa. Lo fa con un corto, “Cocci” per l’appunto e con due interpreti d’eccezione: Milena Vukotić e Giorgio Colangeli. Una partenza “col botto” si direbbe dalle mie parti. Non di rado però l’utilizzo di giganti della scena può malamente tentare di distrarre da una trama fumosa. Oppure ahinoi, così registicamente egoriferita da non lasciarci spazi di condivisione. Non è questo il caso.
Cocci è una storia, finalmente. Già perché pare che di questi tempi le storie siano passate un poco di moda nella rappresentazione artistica, in luogo di più discutibili imprese diciamo creative. Qui invece assistiamo allo schiudersi di una tenera perla di prossemica umana, che non può che travolgerci con tutto il suo carico di dolcezza e malinconia. Protagonista un’anziana coppia di sposi, improvvisamente colta da una di quelle ineffabili imcombenze della vita a cui nessuno può sottrarsi. È nel cuore ancora dolente della più aspra di esse che lo spettatore assiste, quasi come un testimone reale, “in loco”.
Se c’è una cosa che mi ha colpito infatti di questo racconto è la discrezione estrema della regia, che si fa essa stesso personaggio, entrando letteralmente dentro la parabola di vita di Angelo e Mariuccia. Siamo lì con loro, tutti i giorni, seduti all’ombra di un grande albero ad ascoltare la serenata delle cicale, nella loro casa mentre Mariuccia sbuccia le arance e Angelo prende il caffè. Poi accade qualcosa, una rottura improvvisa nella cornice di una vita insieme.

Mariuccia deve fare i conti con i resti sparsi di una vita che le sembra andata in frantumi, coi “cocci” appunto di una tazzina di caffè sbreccata. Un frammento tuttavia ancora in qualche modo “vivo”, reale, che dovrà essere ricomposto con la vita che manca, che resta. Talvolta questo imperativo alla sopravvivenza, specie nelle persone piuttosto avanti con l’età, sembra quasi crudele. D’altra parte, come scrive la Stancanelli, siamo fatti con gli occhi anteriormente e non dietro la testa, coi piedi puntati in avanti e non all’indietro. L’unica direzione che possiamo prendere è sempre quella che ci troviamo di fronte.
È un inno alla volontà del ricostruirsi, nonostante tutto, come l’antica arte del kintsugi giapponese, che insegna a rimettere insieme gli oggetti rotti con una colla mescolata a tinte dorate, perchè la luce splenda ancora, sempre, anche attarverso le fessure.
La sceneggiatura di Agnese Fallongo e Mario Parruccini è leggera, quasi volatile, ma nel senso più poetico del termine. Si posa piano sugli ambienti, gli attori, le parole e i silenzi, restituendo allo spettatore la genuinità dei gesti, la lentezza dei passi, del tempo che scorre, sempre, anche se talvolta, ci piacerebbe fermarlo. La scrittura che ne esce è sorprendentemente intensa, ricca di picchi emozionali che arrivano a tagliare lo schermo, accompagnando lo spettatore “in medias res”, dentro alla scena.
Questo corto non ha né la durezza del documentario, né l’ineluttabile lacca della sospensione d’incredulità dell’opera filmica tout court. È piuttosto un ibrido creativo e al tempo stesso concretissimo. Fra l’altro con una splendida fotografia (di Gianluca Mastronardi), che miscela ad arte la nitidezza della realtà con l’impalpabile e un po’ rosata opacità dei ricordi. Un esperimento assolutamente risucito. Da oggi inizia la sua corsa nei festival e auspico che faccia da battistrada per la Fallongo anche per una prova successiva, magari nel lungometraggio.
Last but not least gli interpreti. Che dire di quei due? Ho avuto il piacere e la fortuna di applaudire Milena Vukotić e Giorgio Colangeli più volte in teatro, senza contare anche le molte e fortunate interpretazioni per il cinema e la tv. In Cocci incarnano una coppia d’altri tempi, con una Mariuccia più timida e riservata e un Angelo invece estroverso e allegro, perfettamente bilanciati in quei caratteri solo all’apparenza lontani. Non posso scrivere nulla sull’interpretazione evitando di scadere nella banalità. Quando ci sono signore e signori di questo calibro, preferisco inchinarmi virtualmente e scorticarmi i palmi. Se mi è concessa un pizzico di autorevolezza da parte di chi legge, mi permetto di invitare alla visione di Cocci, cercatelo e inseguitelo nelle sale. Vi lascerà ben più di un’emozione.