Kokocinski. Quando l’arte toglie la maschera

A Palazzo Cipolla a Roma, fino all’1 novembre, la personale di un artista contemporaneo, dai toni letterari e fiabeschi, teatrali ed onirici

[rating=4] Entrare a Palazzo Cipolla per visitare la personale di Alessandro Kokocinski “La vita e la maschera: da Pulcinella al Clown”, significa passare da una Roma caotica e affollata a uno spazio immaginario, onirico, favolistico, intriso di poesia e carico di materia, che spazia dall’esotismo delle narrazioni latino-americane al teatro napoletano, strizzando l’occhio quanto alle tradizioni russe che ai Pinocchi collodiani.

Circa 70 opere in mostra, polimateriche, realizzate con olio su tavola, stoffa, cartapesta, vetroresina, seta, in bassorilievo o scultura, riflettono la vita raminga e affascinante di un artista dai molteplici talenti, nato nel 1948 in un campo profughi di Porto Recanati, da una madre sfuggita alla deportazione nazista e da un padre soldato dell’armata anglo-polacca.

Il piccolo Alessandro, a solo un anno, si imbarca con i genitori per l’Argentina alla ricerca di una vita migliore e sarà proprio oltre-oceano che diventerà grande e mutuerà l’amore per lo spettacolo, prima lavorando nell’ambiente circense, poi studiando scenografia teatrale, per calcare, infine, i primi palcoscenici.

Nelle terre dell’America Latina, molti saranno gli eventi che ne segneranno l’anima e il carattere, come l’incontro con le popolazioni indigene delle foreste Misioneras, la caduta di Perón a Buenos Aires, la fuga in Cile dopo essere stato schedato quale militante di un gruppo rivoluzionario, il sogno di libertà di Salvator Allende, la dittatura di Pinochet e l’aria tesa che si respirava prima del golpe del ’73.

Alessandro Kokocinski “La vita e la maschera: da Pulcinella al Clown

E’ con questo bagaglio che Kokocinski torna nella natía Europa, fermandosi prima ad Amburgo e poi a Roma, che sceglierà come patria definitiva, stregato dalla bellezza di Trastevere e dall’ambiente culturale della Capitale di quei tempi che annoverava figure dal calibro di Carlo Levi, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Vittorio Gassman, e pittori come Alberto Sughi e Riccardo Tommasi Ferroni.

Nelle sei aree in cui è suddiviso l’attento allestimento di questa rassegna d’opere d’arte strettamente contemporanea, curata dalla Fondazione Kokocinski e da Paola Goretti, si respira eroismo e fragilità, maschera e realtà, finzione scenica e verità esistenziale, tradizione e innovazione, buio e luce. “L’Arena”, “Pulcinella”, “Petruška”, “Sogno”, “Clown” e “Maschera interiore”, grazie all’attenta modulazione della luce e alla linearità dello spazio espositivo, diventano così dei luoghi dell’anima in cui le opere d’arte ritrovano gli intenti evocatori dell’artista.

Se “l’Arena” vede centrale il tema taurino e il gioco dei rovesci, dove il protagonista è alternativamente un caprone, un monello, un’ombra dalla sagoma del giullare, un angelo in volo, in “Pulcinella” è il discorso dell’anti-potere a farsi centrale. La maschera napoletana, infatti, è un guitto bonario e cialtrone, feroce con i potenti e gentile con gli umili. L’opera centrale della stanza, non a caso, è l’“Olocausto del Clown tragico”, un Pulcinella-Gesù, crocifisso in un imponente bassorilievo su tavola. Se la maschera campana è, nella mente dell’artista, l’incarnazione del sovvertimento del potere, l’analogia con il Cristo, vicino agli ultimi, diviene lampante e, insieme, sorprendente.

Dal burattino del Vesuvio si passa, in “Petruška”, alla marionetta russa con andatura a scatti, resa celebre da Stravinsky nei balletti di Diaghilev. Tra oli, cartapesta, bassorilievi e pennellate intense, tra le mani di Kokocinski, Petruška, contadino rozzo con naso aguzzo e abiti vivaci, assurge ad incarnare il dramma patito per l’affermazione dell’identità, in risposta all’annichilimento del potere, divenendo eroe fiabesco e fautore di libertà.

Anche in “Sogno” le maschere sono centrali e, figure di Pinocchietti svelti e appuntiti, sono affiancate ad Arlecchini innamorati, disegnati in modo rapido e conciso su fondi quasi bizantini. Le immagini qui diventano abbaglianti, universali e nei titoli si ritrova questo slancio quasi liturgico verso l’infinito. Più e più volte, nella rassegna, infatti si rintracciano tra le didascalie delle opere le parole “Luna”, “stelle”, “cielo”, “Sole” e in questa sezione è forte il senso d’abbagliamento, perfettamente incarnato dall’opera “Che ha perso la parola” in cui una figura bianchissima, velata, e dalla bocca completamente ammantata, spicca su un fondo blu lapislazzuli così intenso che sembra illuminato a neon. La parola non appartiene al trascendentale e l’arte di Kokocinski, nonostante metta sempre al centro l’uomo, ha lo sguardo costantemente rivolto verso l’alto.

Alessandro Kokocinski “La vita e la maschera: da Pulcinella al Clown

Addirittura i “Clown”, della sezione omonima, non sono mai pienamente terreni e il mistero di questa figura si rivela imperniato proprio sulla cancellazione del reale. I pagliacci di Kokocinski non sono figure dai ghigni macabri o tristi, né spensierati dispensatori di risate, ma si fanno piuttosto rasserenanti simboli dell’accettazione della natura delle cose, vedendo così ribaltato di netto il loro ruolo tradizionale.

L’ultima parte della rassegna è dedicato alla “Maschera interiore” che diventa educazione al vivere senza menzogna, un esercizio alla funzione immaginifica che mette sotto scacco il teatrino dei vari potentati dove atti osceni, infamia e lordura non muoiono mai. E’ in quest’area che si respira l’influsso di Goya, filtrato da Bacon, e dei richiami all’arte fiamminga di Bosch.

Gli allestimenti video completano una rassegna che porta il grande pubblico a conoscere un artista ispirato e a tutto tondo.

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