
Con il suo secondo lungometraggio, In guerra per amore, Pif conferma di aver acquisito una vera e propria cifra stilistica, affermata già con il successo di La mafia uccide solo d’estate.
C’è più di un filo conduttore che lega le due opere del regista palermitano.
Prima di tutto una componente romantica: i nomi dei due protagonisti, gli stessi in entrambi i film, Arturo Giammarresi e Flora Guarneri, sembrano rincorrersi nei decenni, dai bambini che scoprono la mafia negli anni ’70, ai giovani innamorati durante la seconda guerra mondiale, precisamente durante lo sbarco degli alleati americani in Sicilia.
Un argomento, questo, non troppo approfondito nei libri di storia, ma che ha drammaticamente segnato il corso della politica italiana.
Il boss mafioso Lucky Luciano avrebbe fornito alla Marina statunitense contatti con la mafia italiana per stabilirsi in Sicilia.
Da qui parte il nodo centrale di In guerra per amore, in cui Pif torna ancora una volta a parlare di mafia. Lo fa sempre con ironia e leggerezza, attraverso le disavventure del suo alter-ego Giammarresi, che, emigrato negli Stati Uniti, s’imbarca volontario per l’impresa dello sbarco in Sicilia, per chiedere al padre di Flora la mano di sua figlia, promessa al figlio di un malavitoso.
Questa storia d’amore risulta, in realtà, una cornice accessoria e poco approfondita, così come il personaggio di Flora (Miriam Leone), la cui personalità viene a mala pena accennata.
È un pretesto, una chiave per arrivare a parlare, trasversalmente, di qualcosa di più grande e sconvolgente.
Arturo è ingenuamente accecato dal suo scopo, dalla ricerca del futuro suocero, tanto da non vedere la gravità di ciò che lo circonda: grazie alla collaborazione con la mafia gli americani entreranno in Sicilia e saranno proprio i malavitosi siciliani, scarcerati in massa, a ottenere le principali cariche politiche.
Ad aprire gli occhi ad Arturo sarà il luogotenente Philip Catelli (Andrea Di Stefano), uomo d’onore spinto alla guerra dall’amore per il suo Paese e che cercherà di attrarre l’attenzione americana sul problema pericolosamente riacceso in Italia.
La guerra viene raccontata con un linguaggio sempre vario, drammatico nel segnare la perdita e il dolore, ma anche divertente e pungentemente ironico.
In questo marasma di distruzione, fame e morte, si fanno strada due personaggi interessanti, grotteschi ma al tempo stesso fiabeschi: Saro (Sergio Vespertino) e Mimmo (Maurizio Bologna), uno cieco e l’altro zoppo, due veri compagni di sventure, in continua lotta per la sopravvivenza in un mondo che ora più che mai li considera gli scarti della società.
Pif sta abituando il pubblico al suo linguaggio, sempre più definito e riconoscibile. Con consapevolezza del mezzo cinematografico, parte dall’amore, dalla purezza quasi infantile del suo personaggio, per addentrarsi nella Storia, quella che più fa paura al nostro Paese.
È interessante come nei suoi film si intreccino romanzo e documento, romanticismo e denuncia, che trova ancora più spazio nel finale di entrambi i film, dove la favola dolceamara lascia spazio alla cruda testimonianza.