‘Cold War’ di Pawel Pawlikowski

L'ultimo film del regista polacco, vincitore della Palma d'Oro come miglior Regia al Festival di Cannes 2018

Una cantante e aspirante ballerina di nome Zula incontra, ad un provino, il registra teatrale Wiktor. Siamo nella Polonia del secondo dopoguerra, Wiktor è alla ricerca di volti freschi per mettere su una compagnia teatrale, il suo scopo è far riemergere la musica popolare polacca oscurata durante gli anni della guerra. L’amore tra Zula e Wiktor va ad alimentarsi tra le sale da ballo e le lezioni private di canto. La forte passione spinge i due innamorati ad intraprendere una sfida contro il destino, mantenendo disperatamente vivo il loro amore, nonostante le avversità che la vita gli riserva.

Cold War‘, di Pawel Pawlikowski, partecipa al Festival di Cannes 2018 e vince la Palma d’Oro come miglior Regia. Il premio rappresenta per Pawlikowski  il secondo riconoscimento importante della sua carriera, dopo l’Oscar per il miglior film in lingua straniera ottenuto con ‘Ida’ nel 2015.

Il regista ha spiegato che ‘Cold War’ nasce come un omaggio ai suoi genitori, morti nel 1989, non a caso i personaggi riportano gli stessi nomi dei coniugi Pawlikowski. Pawel descrive la loro relazione come un rapporto scostante ma che, nonostante le varie incomprensioni, ha saputo sopravvivere 40 anni grazie all’amore incondizionato che provavano l’uno per l’altro.

La narrazione parte dal momento in cui i due protagonisti si incontrano per la prima volta, le varie inquadrature antecedenti  sembrano quasi prive di senso logico. Ma nonostante la storia si rifà al loro legame amoroso, Pawlikowski decide di tralasciare alcune parti del loro rapporto per far sì che sia il pubblico a ricostruire i pezzi mancanti e creare una propria storia personale, utilizzando come unico punto di vista quello soggettivo.

Pawlikowski decide di fare un lavoro di sottrazioni creando, con le numerose ellissi temporali, dei vuoti all’interno della narrazione anche sotto il profilo storico. Con questa forte capacità di autocontrollo il regista riesce in appena un ora e venti a raccontare una storia, nata durante il secondo dopoguerra e conclusa nei primi anni settanta, che abbraccia un periodo lungo 15 anni.

Spostandosi da una capitale all’altra, i protagonisti vivono sulla propria pelle lo sviluppo economico, la rinascita sociale e tutti gli eventi che caratterizzano questo periodo. I cambiamenti storico/culturali influenzano la loro esistenza e la loro natura. Divisi e destinati a ritrovarsi anni dopo, Zula e Wiktor riprovano a recuperare il loro amore perduto, realizzando quel che sembra un irraggiungibile sogno.

A  sottolineare l’idea di controllo ci sono le scelte registiche che Pawlikowski mette in scena. L’utilizzo del bianco e nero riporta lo spettatore ad un’epoca passata e favorisce l’idea di lontananza, regalando una sensazione di malinconia affiancata a quella di puro realismo. Il formato prediletto è il 4:3, che chiude il centro visivo dello spettatore soffermandolo solamente sui personaggi. La macchina si muove come se stesse pedinando i protagonisti, che restano sempre i soggetti preferiti di Pawlikowski.

Innegabili sono le numerose citazioni riportate all’interno di ‘Cold war’; un esempio lampante è il richiamo a ‘Casablanca’ (1942) di Michael Curtiz, che narra le vicende di una giovane coppia sbocciata negli anni della seconda guerra mondiale. La pellicola si rifà anche ad altri grandi classici hollywoodiani, racchiudendo un insieme di tecniche appartenenti ai registi più celebri della storia del cinema.

‘Cold War’ rappresenta un ritorno alle origini della narrazione cinematografica, dove storia e amore si intrecciano rimanendo fortemente ancorati ad uno stile realistico e totalmente coinvolgente. Pawlikowski, con questa sottile opera, regala allo spettatore delle emozioni autentiche, differenziandosi delle forme di tecnologia digitali che hanno preso il sopravvento negli ultimi decenni.

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