
Ha debuttato ieri, 20 giugno, a Palazzo Reale, sempre nell’ambito del Napoli Teatro Festival 2018, lo spettacolo Come di’ – Comédie dangereuse o dei muti turpiloqui d’amore, di Adriana Follieri, con gli attori Dora De Maio, Angela Fabiano, Fiorenzo Madonna e il musicista e cantante Marcello Squillante.
La location scelta per l’evento inizialmente era il Cortile delle Carrozze con un palco di dieci metri per otto, dato da non sottovalutare se si pensa che a poche ore dallo spettacolo, causa pioggia, tutta la scenografia è stata spostata per intero sotto i portici del giardino con uno spazio di due metri per due che ha segnato, all’ultimo momento, una totale risistemazione non solo di tutti gli attrezzi di scena ma anche della recitazione stessa dal momento che il pubblico non si sarebbe trovato più come previsto di fronte al palco ma ai suoi lati.
Follieri lo spiega in una emozionata ma al contempo fiera captatio benevolentia prima dell’inizio ad un pubblico stranito ma di certo divertito da quel riposizionamento e da quella prospettiva diversa dal solito. Che, a posteriori, appare perfettamente adatta al visionario e camaleontico Come di’.
“Sono stufo del lirismo moderato. Del lirismo educato. […] Sono stufo del lirismo corteggiatore. Politico. Rachitico. Sifilitico. […] Voglio piuttosto il lirismo dei pazzi. Il lirismo degli ubriachi. Il lirismo difficile e pungente degli ubriachi. Non voglio più saperne del lirismo che non è liberazione.”
Nei versi di Manuel Badera, tratti da Libertinagem e recitati da Fiorenzo Madonna in apertura, sono un’annunciazione di quello che accadrà sul palco per i successivi 90 minuti. Il tempo di una partita a calcio, in fondo. In campo le due squadre rivali da una vita: apollineo e dionisiaco, vero e falso, apparenza e realtà.
Tre i personaggi che lo disputano scambiandosi di continuo i ruoli, compreso quello della palla scalciata, cercata, scansata ma mai quello di protagonisti. Al centro della scena c’è sempre e solo lui, il teatro, atavica metafora della vita a cui tenta di dare splendore con le rime, i balletti, le battute ma che alla fine appare sempre come maschera di sè stesso.
E maschere sono anche Dora di Maio, rigida e inflessibile nella sua ostentazione di ogni tipo di virtù e di talento, Fiorenzo Madonna, alla ricerca continua di un cambiamento che non trova in quanto succube di sua cugina Dora, o Angela Fabiano, ‘a piccerella, burattino nelle mani dei due che la prendono quando è ancora una rozza ragazzetta e che la trasformano in un’attrice esperta, pronta a dimenticarsi chi è, ogni volta che sale sul palco. Questo gioco di specchi, di doppi e di scomparse si compie come in un quadro di Escher attraverso citazioni e ammiccamenti di grandi artisti da cui gli attori di Come di’ entrano ed escono, fluidi e impalpabili tanto che si fatica a cogliere ogni nesso, ma come dice un’attrice/spettatrice che conosco: “Se diventi complicato e non riesco a seguirti allora emozionami!”
E le emozioni sgorgano come fiumi in quelle riflessioni amare accompagnate dalla danza di Angela Fabiano, diafana e leggere, e dalle musiche ora allegre ora tristi della fisarmonica e chitarra e dalla voce avvolgente di Marcello Squillante.
A tutto ciò si aggiungono come filo conduttore, la commedia nella tragedia nella commedia, i riferimenti al Cyrano de Bergerac, rappresentazione della finzione per eccellenza.
Dora è Cyrano, Fiorenzo è Rossana e Angela è il tramite, ma poiché in Come di’ la finzione è accentuata, palesata, rivendicata anzi, la ragazza viene plasmata a immagine e somiglianza della donna proprio in presenza dell’amato che alla fine consumerà con brutalità quel dono d’amore con l’unico dubbio se il suo oggetto del desiderio era una Dora più bella o se Angela poteva essere amata solo dopo il benestare dell’integerrima cugina. In ogni caso, la morale anche qui è che nulla c’è di vero, nemmeno nell’amore.
Ad un tanto complicato gioco di trame si aggiunge l’uso di ben quattro lingue: italiano e francese in prevalenza, ma anche napoletano e sporadicamente spagnolo. La lingua diventa così un’ennesima scatola cinese, che richiede tutta l’attenzione del suo spettatore per essere decifrata. Ma d’altronde la recita è gioco e lo dicono bene in francese gli attori col loro continuo: “On va jouer” dove jouer sta tanto per “giochiamo” che per “recitiamo“.
Tutta la macchina teatrale di Come di’ trova riscontro e accompagnamento nei costumi di Antonella Mancuso, nella scenografia essenziale ma al contempo multiforme di Federica Di Gianni e nel disegni luce di Davide Scognamiglio, capace di conferire plasticità e rara drammaticità ai personaggi. E sebbene qualcosa è stato cambiato e sacrificato, rispetto al progetto iniziale a causa del cambio della location, tirando le somme, forse è stato meglio questo spazio ristretto, più intimo, che ha abbattuto la quarta parete piombando con irruenza sugli spettatori, tirati in ballo senza preavviso nello spettacolo.
Così come nella vita.