
[rating=3] Dove va un albero quando cade? Si erge maestoso in mezzo alla foresta, protende i suoi rami verso il cielo. Poi il rumore di una motosega e l’albero cade, senza perdere la sua maestà.
Alberi che camminano, il nuovo documentario di Mattia Colombo, prodotto da OH!PEN in collaborazione con Trentino Film Commission, Apulia Film Commission e Montura, è stato proiettato allo Spazio Alfieri, ore 20:30 , il 2 dicembre scorso in anteprima italiana (Sezione Panorama).
Nato da un soggetto di Erri De Luca (sia personaggio che voce narrante), e ispirato a una immagine del Vangelo di Marco (8, 22-26, in cui un cieco di Betsàida, guarito da Gesù, dice di vedere uomini come “alberi che camminano”), il film narra la storia degli alberi dopo la loro caduta. Divenuti legno prendono le forme più varie e intrecciano la loro vita con quella degli uomini che li lavorano. Falegnami, costruttori di navi o di strumenti, scultori. A ciascuno il suo legno.
Vi è chi ha molto rispetto per questa materia viva, che resta tale per sempre, anche dopo il taglio: così per costruire un clarinetto possono volerci anni di preparazione, di procedimenti lenti, di avanzamenti a piccoli fori. Allo stesso modo, grande delicatezza viene posta nell’allenamento quotidiano degli Stradivari che, sortiti dalle loro teche, sotto l’occhio vigile di una guardia giurata, possono liberare la loro voce. Alberi che parlano, potremmo dire, con una voce soave, dal timbro inconfondibile e caldo e dal tono malinconico. Alberi come musica, la musica di Gabriele Mirabassi, che accompagna i cambi di scena e di luogo.
Non tutti, però, hanno lo stesso rispetto: così, per far largo alle umane costruzioni, non si esita a sradicare un ulivo secolare dalla sua terra (un “dente cavato dalla mascella senza anestesia” secondo De Luca). E con esso si sradica anche il lavoro di chi la terra l’ha coltivata per far crescere l’albero. Uomini che curano, uomini che uccidono. Alberi che resistono.
Così li racconta Mauro, scultore specializzato in crocefissi, gli alberi del Vajont che hanno sfidato la morte: hanno continuato a succhiare il latte dal tronco di un albero caduto durante il disastro e, negli anni, si sono fatti spazio, salendo verso il cielo, con le radici piantate nel tronco. Alberi come rami. Coraggiosi e audaci. Alberi che resistono, subiscono, assistono. Alberi che si piegano, che cadono, che cambiano, che navigano. Alberi. Ovunque.
Alcune immagini di repertorio mostrano la rivolta di Istanbul: una protesta nata nel 2013 per difendere 600 alberi del Gezi Park dall’abbattimento, poi dilagata in tutto il paese come atto di opposizione al governo di Recep Tayyip Erdoğan. Qui sono gli uomini a resistere ispirati dagli alberi.
L’altra resistenza, quella antifascista, invece di uomini ne ha visti tanti impiccati, agli alberi. E sulle Dolomiti c’è un uomo, anziano, che ricorda i suoi compagni così, addobbando un albero “sacro”, un monumento ai caduti di allora. Dolcissimo abbraccio: Quirino (così si chiama l’uomo) avvolge l’albero per abbracciare i suoi compagni scomparsi. Alberi che testimoniano, metafore umane. E ancora alberi che galleggiano, come scafi di una nave in mezzo al mare. Eterno ritorno dell’opera di Noè in mezzo alle acque del Diluvio Universale. Alberi divenuti maestri e con uomini per discepoli. Un viaggio attraverso l’Italia e oltre al seguito degli alberi che camminano, per cercare gli uomini che vi corrispondono.
Molti esseri umani, dice De Luca in principio, non sono degni di essere alberi che camminano, ma restano cespugli, attaccati alla loro posizione di sempre. Allora “siamo andati a cercare gli alberi che camminano”, afferma il regista Colombo: partito alla volta di audacia e autenticità tanto rare nella quotidianità umana.
E, inseguendo gli alberi che camminano, ha trovato volti umani, come quelli di Mauro e Quirino, che hanno conservato la maestà dell’albero anche dopo la caduta. Dove va un albero che cade? Ovunque. Basta che cammini.
E il film lo segue: una “gita per raccontare con affetto questi alberi maestri e la gratitudine per quelli che li piantano” (De Luca).
“È difficile rassegnarsi a morire” dice Mauro, lo scultore, presente in sala alla presentazione del film: “sono questi per me gli alberi che camminano”.
Leggete anche la nostra intervista a Erri De Luca: la trovate qui.