
[rating=4] La punta metallica sta per sfiorare quella superficie nera piena di solchi, impattando e seguendo le piste impresse nel vinile. Poi viene bloccata, resta a mezz’aria, impotente. Tante volte il giradischi sulla scena dello spettacolo “Un’ora di tranquillità”, al Teatro Duse di Bologna, viene bloccato appena prima di poterci fare ascoltare le note di “Me, myself and I”, la canzone composta da Irving Gordon nel 1937. Michel Leproux, interpretato da Massimo Ghini, è un estimatore di dischi che finalmente, su una bancarella del lungo Senna, non si fa sfuggire l’LP che ha cercato per tutta la vita, e corre a casa con il solo intento di ascoltarlo. Pregusta già tutte le note di quella musica inebriante che lo farà sicuramente ritornare adolescente e felice. Arrivato a casa, viene disturbato da tutta una serie di eventi che gli impediranno di avere appunto un’ora di tranquillità per l’ascolto del prezioso capolavoro.
La moglie Nathalie, la brava Galatea Ranzi, è sempre inquieta: “va tutto bene solo che…”, manca sempre qualcosa nella sua vita. il figlio appartiene ad un gruppo Rock e nei suoi spettacoli mangia topi vivi, perfino il vicino di casa polacco lo disturba, infastidito dai lavori di ristrutturazione della casa. Se a tutto ciò si sommano le telefonate della mamma, le storie sentimentali che si intrecciano, fra tradimenti e perdoni con colpo di scena finale, si ha il quadro completo di questo interessante testo del 2014 di Florian Zeller, il giovane commediografo francese pluripremiato di Moliere Awards.
Lo spettacolo si apre con una sigla iniziale molto cinematografica che provoca istantaneamente un po’ di sudore freddo, ben motivato, dato che Massimo Ghini, che cura anche la regia, pur avendo fatto molto teatro e cinema di livello in passato, negli ultimi tempi era precipitato a fare i cinepanettoni con De Sica & co. Fortunatamente questa sigletta è solo una specie di citazione al film “Do not disturb” del 2014, ispirato dallo stesso testo, che ha avuto un buon ritorno di critica e pubblico in Francia.
Durante tutto lo spettacolo, Michel tenta invano di scacciare i seccatori e di godersi il suo tanto desiderato disco. L’enorme egoismo di cui è capace non lo turba nemmeno quando sua moglie gli confessa un precedente tradimento, sebbene di piccola durata: “ma possibile che dopo 20 anni oggi è il giorno che devi dirmelo?!”. “Io ti perdono…”, “tu non capisci…”, “esiste anche la prescrizione!”. Il testo è molto ritmato, merito più della regia di Ghini che del testo in se, dato che il film risulta meno energico e scoppiettante.
La storia è stata concentrata e ripulita di fronzoli, resa essenziale e più fruibile. I cento minuti di durata complessiva passano bene, il ritmo serve anche a non farci percepire certi schemi ripetuti all’infinito, come quello “sto per ascoltare il disco quindi qualcosa deve succedere a fermarmi”. Il merito va alla regia, che maschera questi schematismi in modo da non lasciarli percepire quasi, non male visto il debutto di Ghini proprio alla regia. Talvolta l’eccessivo ritmo fa perdere un po’ di forza alle battute, facendole apparire meno “vere”, ma tutto sommato sembra un rischio calcolato, in una commedia che diverte e che non ha pretese didattiche né sociali. I personaggi così caratterizzati e stereotipati d’altra parte non avrebbero consentito una spinta ricerca della realtà.
Fra gli attori spicca senza dubbio Galatea Ranzi, il personaggio più difficile di tutti che in qualche caso arriva a brillare anche più dello stesso Ghini. Gli altri attori fanno un po’ da contorno di questa commedia azzeccata, divertente e spensierata.
Ma alla fine ce l’ha fatta ad ascoltare il suo disco?