Un consumato Vangelo di pelle su un freddo piedistallo di marmo

“Sul letto di morte mia mamma continuava a parlarmi di santi, […] perché non fai uno spettacolo sul Vangelo?”. Al Teatro Storchi l'ultima creazione di Pippo Delbono

[rating=3] Undici sedie rosse ordinate sono già sul palco del Teatro Storchi di Modena per lo spettacolo Vangelo di Pippo Delbono, nove sono una accanto all’altra di fronte a noi e le altre a formare i “capotavola” di un ipotetico tavolo imbandito, immediato riferimento all’ultima cena: gli ospiti arrivano, si salutano e si siedono, come in un banchetto conviviale. La dodicesima sedia è in fondo alla platea, dove usualmente si siede Pippo col suo microfono a raccontarci cosa vediamo sul palco… è il dodicesimo apostolo?!

Lo spettacolo inizia analizzando il perché Pippo si è spinto a trattare una tematica così importante ma un po’ lontana dai suoi temi consueti: sua mamma gliel’ha chiesto sul letto di morte. “Non sopportava che fossi diventato un buddista”, lui era il suo “piccolo chierichetto”. Mentre nello spettacolo “Orchidee” (leggi la recensione di Orchidee) sempre scaturito dai ricordi sulla madre appena morta, le sensazioni erano colorate, vive, i ricordi erano potenti e scanditi da emozioni iridescenti, qui le tinte sono più grigie, “spesso i teatri dove vai a fare lo spettacolo sembrano come quelle chiese, odorano di morto, di vecchio”, con persone che mi guardano “sempre dall’alto in basso facendomi sentire un peccatore”, “faceva paura che io potessi essere felice”. Si respira la costrizione per una tematica quasi imposta e il risentimento che può avere una persona omosessuale nei confronti dei giudizi superficiali e bigotti di certa gente. Questo viene raccontato da Pippo mentre sul palco si assiste alla fissità degli ospiti per lungo tempo. Un’altra costrizione, visiva per noi oltre che fisica per gli attori.

Vangelo - Pippo Delbono

Il passo successivo, scontato, è avere una certa “simpatia per il demonio”, perché l’immagine con la quale la religione dipinge il Cristo e i suoi seguaci è sempre giudicante ed austera. Il demonio invece è musica, è amore, è energia positiva, è libertà: “voglio musica e basta! Voglio musica e basta!” urla Pippo. “Io non credo in questo dio madre, […] in questo dio […] sempre maschile, preferisco il demonio almeno è più femminile, è un bisex!”. Gli attori entrano con enormi corna e cappelli demoniaci e ballano musica da discoteca, una scena che rappresenta le tentazioni della vita ma che non colpisce per l’originalità.

Da notare che la condanna non è per Cristo, infatti a più riprese si esalta la sua figura: dalla poesia di Sant’Agostino “Che cosa amo quando amo te” (Confessioni X 6,8) passando per le parabole più famose della bibbia. “Badate che nessuno vi inganni, molti verranno in mio nome”, “sorgeranno falsi cristi e falsi profeti per ingannarvi”. Gesù è amore, è gioia, e “se questo Cristo ce lo avessero raccontato così, […] se parlasse di musica, di amore […] forse sarei diventato anch’io un cristiano come voleva mia mamma”. La chiesa allontana le persone dalla religione, “siamo stati giudicati come malati, perversi, froci, maiali”.

Appare forzato l’inserimento di un afgano che racconta la sua epopea in mare, con un sottofondo di acqua e sovratitoli dall’inglese. Sì, per certi versi anche Cristo era un fuggitivo, ma la tematica dello straniero è uno dei temi cari a Delbono e qui viene inserita un po’ “senza preparazione” precedente. Forzato anche il filmato di Pippo che esce da un ospedale ripreso dal cellulare che ha in mano, così come la crocifissione di un attore magrissimo … Purtroppo sembra di assistere al lavoro grezzo di Pippo, quello da cui lui generalmente parte per poi storpiare i colori, tirare fuori le emozioni, trasportarci con la sua calda voce, così come Picasso partiva dalla realtà per poi rielaborarla nei suoi dipinti. Non vediamo la sua personalissima ispirazione che trasforma le cose ovvie in emozioni, vediamo appunto solo le cose ovvie. D’altra parte non si può avere una fase così creativa per una tematica non esattamente congeniale. Troppo è il grigiore, il risentimento per una chiesa che “odora di morto” e che tenta “di farci perdonare quello che non abbiamo mai fatto”.

“Credo che anche questo spettacolo debba dedicarlo a mia mamma”.

Applausi non scroscianti in un teatro Storchi non pienissimo: lo stesso teatro che ai precedenti spettacoli lo aveva applaudito dal pieno del sold-out.

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