
In via Franco Vecchi, nel porto vecchio di Trieste, c’è un magazzino. Ma non è uno di quelli dove si depositano le merci nuove, quelle magari provenienti dall’ Adriatico, è un luogo abbandonato dove si accatastano letti, specchiere, armadi, sedie, materassi, libri, quaderni e migliaia di foto in bianco e nero che ti guardano interrogative. Questo è il magazzino 18. Qui le “robe” portate dagli esuli istriani e dalmati, mai riprese, raccontano la storia dell’esodo di intere famiglie.
Simone Cristicchi, cantattore romano, entra nel magazzino, dando voce a quegli oggetti- storie dimenticate. Inizia ripercorrendo la storia dell’ Istria al tempo delle violenze fasciste; prosegue raccontando della guerra, dell’otto settembre, di Norma Cossetto, violentata da 17 partigiani jugoslavi e buttata in una foiba come migliaia di altre persone; della tragedia (strage) di Vergarolla nel 1946, di quella che doveva essere per le famiglie italiane di Pula, una domenica in spiaggia ad assistere alle gare sportive e invece si era trasformata in una carneficina.Racconta di come tutte le famiglie istriane e dalmate abbandonarono, con la morte nel cuore, quelle terre e di come vennero smistate poi in campi e baraccopoli, malaccolte dai loro connazionali italiani.
Cristicchi alterna fasi recitate a fasi cantate, come la sua “Magazzino 18” che dava il titolo alla precedente versione teatrale dello spettacolo. Una messa in scena, complici le luci, asciutta ed essenziale con una scenografia quasi assente, se si esclude una valigia, una sedia e un fondale che a volte mostra allo spettatore l’interno del magazzino, altre la nave “Toscana”, altre ancora un campo profughi.
L’artista romano porta in scena uno spettacolo in cui, efficacemente, suscita la “compassione” di chi lo sta guardando nei confronti di una vicenda ancora dimenticata della storia italiana. Chiede allo spettatore di ricordare la casa, il quartiere, le vie, gli odori della sua città perché, soltanto immedesimandosi, si può comprendere cosa voglia dire abbandonarla.
“Da quella volta non l’ho rivista più, cosa sarà della mia città. Ho visto il mondo e mi domando se sarei lo stesso se fossi ancora là… come vorrei essere un albero che sa dove nasce e dove morirà”