Le Orchidee di Delbono continuano a incantare

[rating=3] Secondo un’antica leggenda dell’Epiro le orchidee prendono il loro nome da un fanciullo bellissimo che si chiamava Orchide. Al ragazzo erano spuntati due seni femminili, mano mano che cresceva pur essendo un maschio, assumeva le sembianze femminee diventando sinuoso e delicato. Era evitato sia dai maschi che dalle femmine e la sua ambiguità fisica si ripercuoteva nel suo carattere a volte timido e schivo, altre volte aggressivo e lussurioso. Un giorno disperato si gettò da una rupe e morì, in quel luogo iniziarono a spuntare tanti fiori, tutti diversi tra loro ma allo stesso tempo simili nella loro grande sensualità.

Il lavoro di Del Bono è teso, come di consueto, alla ricerca della Bellezza, la sola possibilità di Salvezza, così come sosteneva Dostoevskij. Ricercare la bellezza è imbattersi nella vita, nella morte, nell’incanto, nell’orrore, nelle verità e nelle menzogne.

Orchidee è un florilegio, un’antologia che mette insieme testi di Shakespeare, Checov, Kerouac, Deep Purple, riletti e introiettati dalla voce di Pippo del Bono che in scena e soprattutto fuori scena (al posto di regia) testimonia la sua costante presenza. Gli attori della sua compagnia sono interpreti delle sue visioni, presenze di un mondo onirico che sa farsi carne e materia viva. Materia e carne esposta attraverso i video che si intervallano e frappongono all’azione scenica, nella consapevolezza che la verità è più drammatica e potente della finzione.

Orchidee di Pippo Delbono

Le registrazioni sono fatte dallo stesso Del Bono in maniera rudimentale, estemporanea come capita di fare a tutti noi con il cellulare, la fascinazione per tale strumento ha indotto alla realizzazione nel 2009 del lungometraggio La Paura interamente girato con la camera di un telefonino. Registra di tutto: interventi imbarazzanti di razzisti e omofobi, politici e gente comune, scimmie ammalate, manichini di plastica e soprattutto filma gli ultimi momenti in vita della madre.

Orchidee nasce, per ammissione dello stesso Delbono, dal grande vuoto per la perdita della madre, il vuoto del non sentirsi più figli di nessuno, il vuoto dell’amore. Orchidee nasce per riempire quel vuoto, per poter, nonostante tutto parlare ancora d’amore.

Al di là del Teatro dei personaggi e degli intrecci, al di là del verosimile c’è spazio e tempo per flussi di coscienza che partono dai quadri del regista e si scoprono appartenere a tutti noi.

Le musiche sono una presenza costante: Mascagni, Nino Rota, Philip Glass e soprattutto Enzo Avitabile che per la prima a Napoli siede a poche poltrone dal sottoscritto. La musica dà suono alle immagini, traghetta le parole dette verso orizzonti più intimi, concede la libertà della danza che gli attori e Delbono in primis compiono come rito, come espiazione al di là delle velleità estetiche.

Orchidee di Pippo Delbono

I componenti della compagnia di Delbono portano in scena la propria verità al servizio della scena (c’è Bobò che ha trascorso 45 anni in maniconio, Gianluca affetto dalla sindrome di Down, Nelson con esperienza da senzatetto ecc.). Non mancano momenti in cui gli attori si prendono in giro per il compito che hanno nel seguire le bizzarrie del regista, il quale non solo non si preoccupa di piacere a tutti (i famigerati abbonati) ma con gusto irride e schernisce con la gratuità di alcuni nudi.

Tanti sono gli spunti, i rimandi, le suggestioni che offre Orchidee, tuttavia non si eguaglia la poesia e dalla potenza visiva di altri lavori di Delbono. Le scelte dei testi: Amleto, Romeo e Giulietta, il Giardino dei Ciliegi, seppur pertinenti e ben trasmessi appaiono scelte di comodo. E’ giusto stare alla larga dalla coerenza e dalla prepotenza dei significati, ma forse ci si aspettava più coraggio. Le chiavi di lettura del modo di far teatro di Delbono possono essere rinvenute nelle continue citazioni che fa, appropriata è questa di Kerouac:

“A me piacciono troppe cose e io mi ritrovo sempre confuso e impegolato a correre da una stella cadente all’altra finché non precipito. Questa è la notte e quel che ti combina. Non avevo niente da offrire a nessuno eccetto la mia stessa confusione.”

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