
Dopo il debutto lo scorso febbraio al Teatro La Giostra, Tiny Dynamite di Aby Morgan per la regia di Bruno Tramice arriva al Piccolo Bellini, inaugurandone peraltro la stagione teatrale lo scorso 9 ottobre.
La storia ruota intorno a tre personaggi: Anthony (Ettore Nigro) e Lucien (Arturo Scognamiglio) amici fin dall’infanzia e Madelaine (Cecilia Lupoli), ragazza incontrata per caso durante una vacanza tra i boschi.
I due uomini sono legati sin dall’età di sei anni da un rapporto ambiguo, un’amicizia piena di insidie, fonte di grandi frustrazioni ma anche di grande intimità per entrambi: Anthony è la piccola peste, il ragazzino che per beffarsi della sorte ha corso sotto una tempesta di fulmini venendo colpito sulla soglia di casa e rimasto vivo per miracolo, Lucien è il ragazzo timido, la spalla fidata ma anche la personalità messa costantemente in ombra. La loro vita viene segnata inesorabilmente da giovani quando la ragazza di cui sono tutti e due innamorati si toglie la vita gettandosi da un ponte, da quel momento le loro strade si dividono e Anthony finisce a vivere per strada mentre Lucien entra in una grande azienda per la quale calcola i rischi degli investimenti.
Li riunisce – e qui inizia Tiny Dynamite – una vacanza in un posto non ben definito tra i boschi, dove il ragazzo timido spera di attuare un “piano di recupero” della piccola peste.
Ma il destino ha in serbo per loro una sorpresa Madelaine, ragazza del posto, di cui entrambi si innamorano rivendendo in lei l’amore perso in gioventù.
La storia che viene raccontata è quella del loro incontro, del lento crescere di un legame e del ripetersi – beffardo destino – della storia di tanti anni prima, ma con un finale diverso, lieto (laddove la vita raramente lo è). Il ritmo narrativo è nella prima ora serrato, infarcito da battute e cambi di scena, a cavallo tra un Jules et Jim meno pretenzioso e un The Dreamers meno erotico e questi meno vengono riempiti dall’eterna lotta tra l’estroversione e la timidezza, Anthony il pagliaccio, il maledetto da un lato, Lucien, il precisino, il buono dall’altro.
La seconda parte di Tiny Dynamite invece rallenta, rilassa i toni, si perde in digressioni, racconti che un po’ centrano col passato dei protagonisti e un po’ servono a descrivere la condizione umana che alla fine accomuna un po’ tutti.
Il finale è un messaggio di redenzione e speranza, di presa di coscienza e insieme di liberazione che porta i tre protagonisti ad alleggerirsi dei propri fardelli e ad abbracciare, per la prima volta con entusiasmo, il futuro ormai diventato presente.
Ettore Nigro è instancabile, frenetico e quasi mai sottotono nella parte di Anthony, così come Arturo Scognamiglio è fastidioso nella sua pedanteria come solo Lucien potrebbe essere, ma tra i due uomini protagonisti egocentrici (e egocentrati quasi), spicca l’unica donna sul palco Cecilia Lupoli, padrona della scena e a suo agio nei panni scomodi della donna contesa tra due amici, due facce di una stessa medaglia, a cui sa dare un’aria al contempo maliziosa e ingenua.
In una rappresentazione che racconta una storia non troppo originale, con una scenografia – quella di Mauro Rea – e dei costumi – di Alessandra Gaudioso – ben studiati e armonici ma non spettacolari, quello che colpisce sono le musiche e le luci – da un disegno dello stesso Nigro – che riescono a conferire alla scena un inquieto senso di ineluttabile. C’è un momento in particolare in Tiny Dynamite, quando i tre ballano e bevono e si divertono, in cui lo spettatore prova un profondo senso di ansia e di angoscia, un disagio nel guardare i protagonisti così spensierati ma allo stesso tempo così coscienti delle macerie che si portano dentro e che avranno per sempre un peso nella loro vita.
Acerbo per certi versi, meritevole per altri, Tiny Dynamite è uno spettacolo in cui ognuno può rivedersi, cogliendo sfumature diverse di un destino comune.