Rumori fuori scena de “La recita di Versailles”

Al Teatro Bellini di Napoli Paolo Rossi nella pièce tratta da "L’Impromptu de Versailles" di Molière

Il guitto in costume, maschera e bastone attraversa la scena annunciando l’inizio prossimo dello spettacolo, che si svolgerà, come il pubblico entrando in sala ha modo di constatare, sotto l’immagine e la protezione di Molière, che giganteggia sul fondo del palcoscenico: fascino d’un’epoca remota, il secolo barocco occhieggia in qualche richiamo di costumi, ma il mestiere dell’attore rimane uguale, nell’impossibilità di scindere, pena la follia, l’attore dal personaggio e dalla persona. Attendono, i musici e gli attori, insieme al pubblico, l’inizio dello spettacolo e sfumando dal teatro alla realtà e da questa alla vita e viceversa, provano la prossima recita: di fronte al re (un dei più famosi) in persona dovranno esibirsi.

Paolo Rossi è Paolo Rossi, ma pure Molière, il capocomico chiamato a Versailles, metafora fatta persona dell’arte della commedia che, prima che recitazione (“ormai tutti recitano, fuori di qui, del teatro: commercialisti, avvocati… improvviseremo recitando e reciteremo improvvisando”), è improvvisazione a soggetto, navigazione a vista, sfida agli spettatori, pur entro le regole ferree del teatro, che non ammettono languori, sbavature, pause (“una cosa è una pausa, altra è un ictus”). Così capocomico, musici e attori, che fingon d’essere sgangherata armata brancaleone, provano a galleggiare, più che a nuotare, a viaggiar per assonanze più che per logiche conseguenzialità, anche perché il capriccio del re va rispettato: una nuova commedia entro due ore, a partire da qualche spunto di testi precedenti.

La recita di Versailles, qui al Teatro Bellini di Napoli diventa, allora, rivisitazione divertente, satirica e dalla forte carica attualizzante: Molière e il suo teatro altro non si rivelano che pretesto per una riflessione sulla nostra modernità; d’altra parte, non è forse vero che lo stesso re Sole prendesse spunto dalle rappresentazioni teatrali pure per meglio comprendere il mondo suo e poterlo governare?

La riscrittura “anarchicamente ispirata” de L’Impromptu de Versailles, creata da Molière nel 1663, operata da Stefano Massini, Giampiero Solari e lo stesso Rossi – “una crisi di nervi di Molière” come la definì Émile Faguet – si nutre di talento, passione e ironia, mischia personaggio, persona e attore come il vino versato in un calice di cristallo e diamanti: “se poi quel calice di vino cade a terra e si rompe, non potrai più distinguere cristallo, vino, diamanti”.

I Virtuosi del Carso, che con la loro musica e le loro percussioni affiancano sempre Paolo Rossi nelle sue performances, condiscono, sottolineano, ritmano l’intera pièce, grazie ai canti, ai jingle, alle canzoni originali di Gianmaria Testa. E poi gli attori, che formano una squadra assortita e talentuosa, in primis Lucia Vasini, Fulvio Falzarano e Mario Sala.

Si entra allora nel vivo: come in una sorta di Rumori fuori scena il metateatro diventa analisi e riflessione sul teatro, sui suoi ruoli, l’attore, il suggeritore, il capocomico, il pubblico, certo, anche lui, con la citazione dello spettatore che saporitamente dormiva in platea svegliandosi di soprassalto all’improvviso: “A Orte devo scendere!”. E poi le notazioni irriverenti sulla drammaturgia moderna con le sue frequenti assurdità, i vuoti di memoria in scena, il riflettersi della vita nell’arte, tanto che lo stesso Molière è il Misantropo, l’Avaro, il Cornuto, il Malato, il Don Giovanni.

Così, come detto, è dai lavori precedenti che Molière prenderà spunto per le sue improvvisazioni: in effetti è nel riadattamento del Misantropo, del Tartufo e del Malato immaginario che la rappresentazione trova in pieno la sua forza e il suo fondamento, essendo il resto affidato più al caso e all’estro del momento. E se il Misantropo è quella più vicina alla riflessione sui compromessi, le ipocrisie, i vizi, i galatei del convivere in società, stigmatizzati dal confronto col duro Alceste, Tartufo è occasione per sottolineare storture e punti deboli della chiesa, con il capocomico che non si lascia sfuggire l’occasione per travestirsi da papa con tanto di basco e stella rossa da rivoluzione cubane; il Malato immaginario si trasforma in una sarabanda notturna per attori/malati di mente.

Evocazioni, sfumature, poesia, si alternano a battute grossolane, facili, perfino banali, in un saliscendi che evoca la vita vera, continuamente: perfino il cattivo funzionamento dei microfoni (a proposito, perché la necessità dell’amplificazione?) con tanto di entrata del tecnico in scena finisci per chiederti se sia “reale” o “posticcia”, se sia da ascrivere alla vita o al teatro. Porta con sé, tuttavia, questo continuo entrare e uscire dalla recitazione alla realtà, oltre a un benefico sapore di verità e di autenticità, pure qualche effetto collaterale, non sempre piacevole: perché affidarsi alla grande professionalità degli attori e dei musicisti in campo è un conto – e infatti ieri sera di sicuro non ci si annoiava quanto si “recitava” e si “cantava”; il piacere un po’ scemava proprio in zona improvvisazione, forse per una particolare serata non al massimo della forma – anche fisica – del capocomico.

Di fatto, eri costretto a notare qua e là qualche smagliatura evidente, il testo sgranava sovente, le battute più che mordere si limitavano a ripetere qualche vetusto clichè un po’ risaputo. Notavi allora qualche imbarazzato silenzio dopo qualche battuta, quel nascondersi compiacente nel buio di tiepidi sorrisi, quel prender le distanze, con educazione ed eleganza, della platea, che è afflizione d’ogni attore e uomo di teatro. Fa parte del gioco.

PANORAMICA RECENSIONE
Regia
Attori
Drammaturgia
Allestimento scenotecnico
Pubblico
Articolo precedenteWeekend comedy
Articolo successivoSapore di sale, sapore di Mar(t)e
rumori-fuori-scena-de-la-recita-di-versaillesMOLIERE: LA RECITA DI VERSAILLES <br> <br>novità di Paolo Rossi e Giampiero Solari <br>su un canovaccio di Stefano Massini <br> <br>con Paolo Rossi, Lucia Vasini, Fulvio Falzarano, Mario Sala, Emanuele Dell’Aquila, Alex Orciari, Stefano Bembi, Bika Blasko, Riccardo Zini, Karoline Comarella, Paolo Grossi <br>scene e costumi Elisabetta Gabbioneta <br>luci Gigi Saccomandi <br>canzoni originali Gianmaria Testa <br>musiche eseguite dal vivo da I Virtuosi del Carso <br>regia Giampiero Solari <br> <br>produzione Teatro Stabile di Bolzano <br>durata: 2 ore e 15' compreso intervallo <br>Napoli, Teatro Bellini, 11 gennaio 2017 <br>in scena dall'11 al 15 gennaio 2017