Taxi a due piazze, la doppia vita di Mario Rossi

[rating=4] Due donne molto diverse, una in abiti succinti, l’altra in vestaglia, si preoccupano per il mancato rientro a casa del marito, e dopo averlo atteso per tutta la notte chiamano la polizia. Così si apre la commedia degli equivoci “Taxi a due piazze” al Duse di Bologna, con due “figli d’arte”, Giampiero Ingrassia, figlio del famoso comico che fece coppia con Franco Franchi, e Gianluca Guidi, che vide il padre Johnny Dorelli cimentarsi in questo stesso ruolo, poi lo intepretò sotto la direzione di Gigi Proietti e infine ora ne cura anche la regia in uno spettacolo tutto suo. Tutti questi anni di “affinamento in barrique” hanno garantito una fluidità particolare per questo testo pimpante e leggero del commediografo Ray Cooney, che già l’anno scorso aveva fatto sbellicare il pubblico del Duse con “Se devi dire una bugia…dilla ancora più grossa” (leggi la recensione).

Una scenografia divisa in due parti per colori e arredamento, a simulare due diversi interni di casa che però sono uno spazio comune, la doppiezza della vita di Mario Rossi (Guidi) che ha due mogli e un lavoro di tassista, sempre diviso fra il “turno di notte e il turno di giorno”, cioè fra la vita coniugale con Barbara e con Carla Rossi; due vicini di casa impiccioni e due commissari che investigano su questo strano caso, interpretati dai bravi Antonio Pisu e Renato Cortesi. Tutto è doppio in questo spettacolo, dove ogni personaggio si crea la propria versione dei fatti, poi per qualche motivo esce di scena e, al suo rientro, assiste ad un cambiamento totale dei ruoli e dei legami, tutto è cambiato. Le bugie si susseguono, creano equivoci e scenari validi fino all’ingresso dell’ennesimo personaggio che rimette tutto in discussione. Questo continuo movimento creativo del testo è esaltato dalle espressioni facciali dei due protagonisti, dalla buona recitazione del cast e dal ritmo incalzante delle battute.

Volendo andare più in profondità si scopre che Mario Rossi (John Smith nel testo originario) è un uomo qualunque, come tanti che hanno una doppia vita e tradiscono la moglie. Utilizza le stesse porte di casa e lo stesso divano, replica esattamente la sua vita con una naturalezza disarmante, come se un’esistenza soltanto non gli fosse sufficiente. Fa tutto ciò per egoismo o per proteggere uno stile di vita che non si è cercato ma che gli è capitato? Quando il suo vicino di casa gli chiede perchè si sia sposato anche con Barbara, candidamente ammette che l’ha conosciuta quattro mesi dopo la prima moglie e che ci si trovava bene, le cose andavano avanti anche con lei e allora perchè non sposarla? Per proteggere la sua bigamia fa poi credere il suo vicino gay, sua moglie una suora e l’altra moglie un travestito. Difende egoisticamente lo status quo fino alla fine, iniziando una gara a chi la spara più grossa che abbiamo già visto nel già citato spettacolo dello scorso anno, dove però il mentitore patentato era uno solo. Qui anche il vicino di casa, interpretato da Ingrassia, regge il gioco a Mario esibendo fandonie a ripetizione. Intelligente anche il finale, dove il protagonista vuota il sacco e si confessa ai due commissari, i quali ormai non gli credono.

Davvero difficile non ridere in questo spettacolo che rimase sulle scene di Londra dal 1983 al 1992 ininterrottamente, consacrando il successo del commediografo Rooney. “A casa non ti eri mai tradito”, “non ne avevo il tempo…”

Come abbiamo già detto, uno spettacolo molto rodato dove tutto scorre liscio da sè, a partire dal testo.

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