
[rating=5] “7-14-21-28” di Antonio Rezza e Flavia Mastrella è la descrizione essenziale e innovativa della condizione umana, la gabbia in cui l’uomo è intrappolato.
Antonio Rezza, abile performer negli habitat artificiali creati da Flavia Mastrella, riesce a far vivere l’ossessione attraverso trasfigurazioni della realtà caratterizzate da inquietudine e incubi simili alla follia.
Si riesce a mettere in piedi il paradosso: la grande disperazione ha una reazione contraria che nello spettacolo assume un tono quasi di gioco.
L’habitat consiste in luoghi magici dove avviene il rito della creazione e della performance. Qui sono le corde, i teli e i lacci che, formando un grande ideogramma, rappresentano “le trappole di un ordine precosituito” (cit. Mastrella) e fanno vivere l’inquietudine.
Il rito ha chiaramente l’obiettivo di demolire le contingenze attraverso una pratica liberatoria dalla cultura corrente. Le vittime sono: il lavoro precario segregante, sfinente e frustrante; la religione ma senza alcuna denuncia sociale; il potere che discrimina; l’informazione balorda; la trappola della famiglia che alimenta l’angoscia; la solitudine; i candidati alle elezioni.
Emerge con irruenza anche l’ostilità verso il teatro della narrazione: il performer (come lo stesso Rezza si definisce) piuttosto che calarsi in un personaggio nel quale resta inevitabilmente intrappolato, si rappresenta attraverso il corpo. Il tutto ha uno sfondo comico tanto rilevante quanto spiazzante.
Conseguenza logica è la totale assenza di trama, infatti si tratta di frammenti di realtà che si susseguono .“Il filo del discorso impicca il pubblico” dice Rezza. Gli Autori preferiscono l’evidenza al simbolismo, la sfrontatezza e l’impeto alla trama.
La maggioranza non ha ragione, in quanto mosaico di minoranze pigre e adagiate nell’ignoranza, che hanno spalmato le loro differenze culturali accontentandosi di tranquillizzanti certezze preconfezionate: questo è uno dei diversi spunti di riflessione che l’opera offre allo spettatore, in una chiave comica che rende lo spettacolo nel suo complesso molto bello, nonostante l’eccessiva autoreferenzialità.