Enrico e Quinto: il dovere di essere felici

[rating=2] Un piccolo spettacolo che racconta due piccole vite intrecciate tra di loro, quella di un teatrante italiano e quella di un arciere inglese: è Enrico e Quinto, andato in scena nei giorni scorsi allo Studio 1 del CAOS – Centro Arti Opificio Siri di Terni, in occasione della decima edizione del Terni Festival.

Con la drammaturgia di Massimiliano Burini e la regia di Massimiliano Civica, Enrico e Quinto propone al pubblico due uomini che si raccontano, uno reale e l’altro di fantasia: il primo è Stefano Cipiciani, attore e regista, tra i fondatori del Centro di Produzione Teatrale Fontemaggiore di Perugia, del quale attualmente è presidente e direttore artistico; il secondo è Quinto (interpretato dallo stesso Cipiciani), uno dei cinquemila arcieri che furono determinanti per la vittoria dell’esercito inglese contro quello francese nella battaglia di Azincourt (o Agincourt) del 1415, resa immortale dall’Enrico V di Shakespeare. E proprio questa opera shakespeariana e il tiro con l’arco rappresentano il doppio trait d’union che unisce Quinto e Stefano: il primo trapassò con le sue frecce i soldati nemici in quella che, grazie al dramma del Bardo, è una delle battaglie più famose della storia del teatro, il secondo trapassa bersagli per passione (ce n’è uno pure sul palcoscenico) e si è innamorato del teatro grazie al prologo dell’Enrico V.

Massimiliano Civica

Dopo una parte introduttiva un po’ noiosa nella quale Cipiciani fornisce agli spettatori – con toni più da conferenza che da spettacolo teatrale – una serie di informazioni sul tiro con l’arco (come si fa a caricare e scaricare l’arco, cos’è e a cosa serve il parabraccio ecc.), inizia una narrazione doppia portata avanti alternativamente dall’attore-Stefano e dal personaggio-Quinto (il quale ha una marcata inflessione dialettale perugina, nonostante sia un inglese vissuto diversi secoli fa): il personaggio parla del suo re Enrico e narra la spedizione militare in terra di Francia che culminò nella grande battaglia, confidando agli spettatori che lui aveva proprio paura, soprattutto della cavalleria pesante francese; l’attore si “mette a nudo” raccontando al pubblico quali sono stati i suoi inizi nel mondo del teatro e quali sono le cose che gli piace fare oltre a tirare con l’arco, come ad esempio intagliare il legno (è stato lui stesso a realizzare gli oggetti in legno – le due maschere che rappresentano Enrico V e il Delfino di Francia e i pupazzetti che rappresentano i soldati dei due eserciti – che sono sul palcoscenico, e durante lo spettacolo spiega come li ha fatti).

Le scene più coinvolgenti e interessanti sono quella nella quale uno spaventato Quinto parla della cavalleria nemica e quella che descrive la notte che precede lo scontro, mentre mi è sembrato poco convincente e avvincente il racconto della battaglia fatto come se fosse la telecronaca di una partita di calcio.

Enrico e Quinto è uno spettacolo con delle pecche ma sincero e a tratti tenero, che parla di tiro con l’arco e della battaglia di Azincourt per raccontare al pubblico un dovere al quale tutti dovrebbero adempiere, il dovere di essere felici.

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