
[rating=5] Io vorrei provare il vuoto, il vuoto.
Parole del personaggio impersonato da Francesca Sarteanesi, in arte – insieme a Luca Zacchini, Francesco Rotelli, Giulia Zacchini: Gli Omini. Originaria di Montale, in residenza artistica presso l’Associazione Teatrale Pistoiese, è, questa, una compagnia under35 dotata di cervello, cuore, capacità visionaria; una delle poche, in Italia, in grado davvero di mettere in scena l’inatteso, la sorpresa, il mai visto.
Sono, Gli Omini, lo Schock delle nostre città; maestri nel sovvertire gli spazi, mescolare il teatro alla vita, l’underground con la facciata sociale, la scrittura scenica con il degrado (urbano e interiore).
Allucinazioni, dolce manicomio della vita quotidiana, storie inacidite al confine col surreale: questo è altro è narrato da tre attori camaleontici, calati dall’alto sulla terra, o spuntati dal basso come lombrichi. E mentre affondiamo, insieme ai personaggi, nello stesso fango di piccole disperazioni e solitudini, nello stesso momento ci risolleviamo, con pause di respiro calmo e Battiato, la sua Schock in my town.
Ci scusiamo per il disagio, titolo provocatorio e alla mescalina – in puro stile Gli Omini – va in scena in un luogo inaspettato: all’Area Deposito Rotabili Storici, dove vengono custoditi vecchi vagoni della Ferrovia Transappenninica, che collega Pistoia a Porretta Terme, la valle con la montagna.
Posti limitati, atmosfera racchiusa e in fibrillazione, come un seme che sta per germogliare, entrano in stile cowboy Luca, Francesco e Francesca, mentre un vagone alle loro spalle è illuminato e messo in azione, sbuffando fumo come un dinosauro.
Spezzoni di frasi e pensieri ad alta frequenza sono, come sempre, stati tutti registrati dalle testimonianze delle centinaia di persone che ogni giorno transitano per i binari, e riesumati con intelligenza in una drammaturgia a brani in sovrapposizione. Ogni centimetro di pelle dello spettacolo è estrapolato dalla realtà, dai discorsi vivi dell’umanità confusa che bazzica la stazione: dai ragazzi col risvolto dei pantaloni tirato sù che salgono senza biglietto, ai pensionati, ai cantastorie che mettono le mani addosso, vecchie glorie, nuovi parassiti.
Un’ora e dieci di show, accompagnati dal teatrino della vita quotidiana, piccioni che ballano, uno humour che trascina in un burrone; e, anche se si cade in verticale, non si può fare a meno di divertirsi. Strano mistero, questo, insolubile, de Gli Omini. La cancrena del teatro di prosa non ha più ragione di esistere. Il buco nello stomaco, che queste storie al confine con la realtà provocano, sovvertono la direzione standard dell’ironia, e perfino gli altoparlanti della stazione prestano la loro voce robotica per fare battute. Non si sa più, davvero, se ridere o piangere.
Gli Omini sono pianeti impazziti fuori orbita, irresistibili, da seguire ossessivamente in ogni tappa.
Creano dipendenza. Il loro western metropolitano e sfasato continua all’interno del Progetto T., dedicato alla Ferrovia Porrettana, quando faranno uscire dalle loro menti geniali, chissà quale altra sporca perla.