
Il 23 ed il 24 febbraio al Funaro di Pistoia è andato in scena R.osa_10 esercizi per nuovi virtuosismi. La torinese Silvia Gribaudi è da anni riconosciuta artista e performer che con ironia e sapienza medita e crea intorno al discorso sul corpo, la donna, la danza, il rapporto col pubblico. Stavolta attraverso la forza espressiva di Claudia Marsicano, premio UBU come miglior attrice under 35 nel 2017. Una coreografia sviluppatasi nello spazio vuoto. Un pavimento bianco, un fondo nero, un corpo solo. Regia di un “accadimento” che ci ha lasciati convinti della qualità di quello che era appena terminato, fortunatamente con molte domande in sospeso.
Quindi, a mio avviso, in pieno stile Funaro ciò che nella sala 1 ha avuto luogo e che viene presentato come un “one woman show” ispirato alle immagini di Botero ed agli anni 80 di Jane Fonda. Il risultato è situato comodamente in un buon punto di rottura, a suo agio tra più discipline, divertito e pronto a prendere -ed a farci prendere- le mosse per nuovi inizi e nuovi modi di vedere. Prima di continuare però dovrei per coerenza premettere: qual’è lo stile del Funaro? Parafrasando Enrique Vargas si potrebbe definire un Collettivo Intimo. Posto in cui concezioni diverse convivono e crescono manifestandosi ora in esplosioni, ora in racconti oppure visioni per poi ri-acquietarsi nel caldo ventre comune e comunitario. Non è ancora spiegato che stile ci vedo.
Brevissimamente: un luogo dove troviamo una caffetteria ristorante deliziosa, tre sale più o meno grandi ma tutte perfette in ogni dettaglio, una biblioteca unica nel suo genere, la sede italiana del Teatro de los Sentidos, laboratori per bambini, per dis-Abili, workshop professionali (con nomi illustri che consiglio di andare a cercarsi) e poi danza, yoga-teatro, ottima cucina e giovani che suonano la chitarra magari davanti ad una birra in mezzo a famiglie, artisti e non artisti. Con uno staff invidiabile e gentilissimo. Un reale che sembra miraggio. Un sogno in quel di Pistoia concreto ed utilizzabile anche dopo averlo sognato. Non ho quindi modo, nè voglia, di forzarlo in una definizione. E qui sta il punto. Trovo prezioso il fatto che nel tentativo di trovarla questa sfugga come acqua tra le mani. Si lascia andare o si beve; e va benissimo così.
R.OSA mi era parso una scelta originale rispetto al resto della programmazione e dopo esserne stato attratto ed averlo gustato l’ho trovato in sintonia con le mura che lo hanno ospitato. Silvia Gribaudi e Claudia Marsicano ci interrogano con il loro lavoro. A cosa assistiamo in “10 esercizi per nuovi virtuosismi”? L’ironia è evidente da subito.
La Marsicano sembra arrivare per impartirci una lezione di aerobica, carismatica, empatica, imponente. Non sarà mica il solito crinale-tranello del corpo in mostra? Exercise number 1. Si parte. Non facciamo in tempo a renderci conto della sua bellissima voce e della leggerezza che quel corpo sa materializzare che già ci troviamo a seguire le sue istruzioni, rigorosamente in inglese per tutta l’esibizione, ed a ballare insieme a lei. Non è facile in così breve tempo. Un susseguirsi di virtuosismi veri o presunti emanati dalla personalità, singolarità ed unicità dell’interprete.
Un dialogo attrice-spettatori per magari intuire le possibilità dietro ogni unicità. Partendo da alcune parole si creano delle sequenze, si scherza sulla resistenza fisica. In alcuni casi il già visto passa nel setaccio dell’originalità. Un tema dell’esplorazione della Gribaudi che da un esercizio all’altro ci suggerisce stereotipi “pop” da colpire con il suo maglio. Dalle loro crepe fuoriesce una luce tutta nuova, inaspettata, ogni volta vivificante. Ad un certo punto, non so in che exercise, (perde il conto pure lei!?) l’attrice ci/si domanda quanti esercizi dobbiamo fare ogni giorno: Why? E’ l’unica domanda esplicita, il resto è tra le righe, cosa vediamo quando guardiamo fuori di noi, cosa ci aspettiamo di vedere e con che modelli affrontiamo la realtà che vive comunque indipendente dai paradigmi culturali e si esplica inevitabilmente in forme imprevedibili e sempre nuove. Osare vuol dire lasciarla esprimere, saperla accompagnare.
E questo lavoro è un’esortazione dichiaratissima ad osare. Con ottimi risultati. In alcuni tratti sembra di scorgere la levità di Groosland di Maguy Marin. Ma a differenza dell’opera della coreografa francese che utilizza dei finti corpi opulenti qua la fisicità è reale, quelli che si definiscono perlopiù come inestetismi sono parte essenziale del segno che si propaga creando bellezza ed armonie peculiari, non irretite dal “come dovrebbe essere”. L’exercise finale dello “specchio” è un trionfo.
La regista, dopo i primi applausi entusiasti, fa partecipe la parte di pubblico che potrebbe essere ignara, del fatto che la Marsicano è italianissima e che la scelta della lingua straniera rientra nel gioco. Cosa stiamo guardando? Cosa è reale e cosa non lo è? Cosa conta? Chi decide? La provocazione sul il talento di accettarsi e piacersi per come si vuole essere e la bravissima performer fa di R.osa è un bel fiore coraggioso e sorridente. Avrei voluto veramente che continuasse più a lungo.