
[rating=4] Si sa, basta una semplice ricorrenza, per tornare a parlare di autori, artisti ed accadimenti tal volta dimenticati. Questo avviene di pari passo nei media e nell’arte. La celebrazione artistica fa sempre più breccia, e aumenta di valore quando gli anni dell’anniversario finiscono per zero. Così fervono i preparativi: “tra due anni ricorrerà il 150° dalla nascita…il prossimo anno saranno 10 anni che è morto…” e via dicendo. Ogni anno è buono per celebrare un nuovo anniversario, lo sanno bene compagnie, registi e direttori, che sgomitano per rendere “omaggio” all’artista del caso, con la speranza di spillarne schegge di intelletto e di profitto. Ed è così che svariati calendari musicali o cartelloni teatrali sembrano essersi dati appuntamento, con proposte alle volte smaccatamente da botteghino, altre invece di interesse con opere poco rappresentate, o ai più sconosciute.
In ogni modo lo spettatore attento e i più giovani hanno la possibilità di riscoprire od entrare in contatto con autori dei quali oggi soffriamo un’enorme mancanza. È il caso di Pier Paolo Pasolini, pensatore avanguardistico, e del 40esimo dalla sua tragica morte, segnata 2 novembre 1975.
Il 2015 del mondo dell’arte lo ha ricordato con innumerevoli iniziative: mostre, concerti, film, spettacoli, perfino un francobollo. Per il teatro, presentata al Festival dei 2 Mondi di Spoleto, ha destato non poca curiosità la messinscena di Porcile affidata a Valerio Binasco, prodotta dallo Stabile del Friuli Venezia Giulia e dal Teatro Metastasio di Prato, nel quale è approdata nei giorni dell’anniversario.
Diamo uno sguardo a volo d’uccello alla trama dell’opera. Siamo nell’anno 1967 e la vicenda si svolge in una tenuta borghese a Godesberg vicino Colonia, nell’area più industrializzata della Germania. Protagonista del dramma è il giovane e vulnerabile Julian, figlio di un industriale abbiente, sospeso tra l’amore di Ida, anche lei ricca d’estrazione ma con idee rivoluzionarie, e il peso del ruolo che la società vorrebbe addossargli. Impotente nella ribellione, Julian è rapito da una oscura passione amorosa: i maiali. L’oggetto segreto del suo amore, verrà scoperto da Herdhitze rivale in affari ed ex nazista che baratterà con il padre di Julian, in un ricatto reciproco, «una storia di maiali per una storia di Ebrei». I due fonderanno le loro società, ma a fine festeggiamenti verrà riportato dai contadini un atroce accadimento: Julian entrato nel porcile, è stato sbranato dai maiali. Di lui non resta più niente. Come se non fosse mai esistito.
Julian è vittima dello stesso ruolo che la società cannibalistica voleva imporgli. Un posto di prestigio tra maiali borghesi, come usciti dalla fattoria orwelliana o dal pennello di Grosz, che Julian ha preferito lasciare vuoto. Il porcile pasoliniano trasuda del fetore nauseabondo della nostra società e metaforicamente la scomparsa di Julian ne disegna un beffardo, profetico autoritratto.
Un adattamento che per i devoti potrà sembrare riduttivo, un’opera spogliata della complessità e del simbolismo concettuale dell’autore, ma resa asciutta e incollata alla storia, che fila liscia fino alla conclusione. Una scelta registica popolare, quella di Binasco, che mira verso il pubblico, con il testo pasoliniano sfoltito del dialogo con Spinoza, per una messinscena dallo stile filmico orchestrata tra grottesco e macabro umorismo di impronta strindberghiana.
Convincente la risposta del cast degli attori tra i quali spiccano le buone interpretazioni di Francesco Borchi, capace di portare in scena il macigno interiore gravato su Julian, Elisa Cecilia Langone con la sua leggera e rivoluzionaria Ida e Fulvio Cauteruccio nelle vesti dello spregevole capitalista Herdhitze.
Un Pasolini per tutti, per una volta non incensato, ma sviscerato e raccontato come un dramma borghese sull’orlo del baratro, nel quale si conficcano comunque spaesanti punti di domanda.
Bellissimo pezzo!
Ottima recensione ed ottimo spettacolo.