M M & M, quando la polvere del cinema si attacca alla vita

[rating=4] Quel che resta dei film in ognuno di noi. Fotogrammi unici legati al momento esatto in cui è nata l’emozione. Invisibili marcatori sulla timeline della vita con il potere di riaccendere il ricordo, all’interno della migliore sala da proiezione: la nostra memoria.
I punti di contatto tra cinema, teatro e vita sono le fondamenta di ricerca del nuovo progetto teatrale della compagnia Cuocolo/Bosetti, M M & M. Movies, Monstrosities and Masks andato in scena in forma di primo studio al Centro culturale Il Funaro di Pistoia, come risultato della residenza artistica del mese di febbraio. Lo spettacolo completo debutterà a giugno al Festival delle Colline Torinesi.

Dopo The Walk, Cuocolo/Bosetti tornano a fare uso delle radio guide, come mezzo di contatto sul singolo spettatore. A rompere il silenzio dell’attesa, una colonna sonora inconfondibile entra in cuffia materializzando l’essenza del cimena: Hitchcok, La donna che visse due volte. Il tema profondo di Herrmann accompagna all’interno della scena composta da un tavolo in disordine inquadrato da una videocamera su un treppiede. La tavola è costellata di oggetti provenienti dalla casa di Vercelli, come la lampada da studio, un mappamondo e Mr. Yellow, un uccello impagliato, oltre che da libri di cinema con foto di scena. La voce e il corpo di Roberta Bosetti prendono posto alla tavola dei ricordi, mentre l’occhio di Renato Cuocolo si posa sul monitor della cinepresa che ne svela i contorni.

La tavola di M M & M

Un doppio linguaggio, quello della parola e dell’immagine (proiettata a parete intera sul fondo della sala), che trasporta in uno spazio teatrale la narrazione della vita sotto gli effetti del cinema. Citazioni filmiche si innestano in mémoires, sfidano paure, dolori, là dove il ricordo di un film può equivalere ad una perdita, una partenza o un ritorno. Il tempo autobiografico della vita di Roberta è scandito in giorni, dal sapore dei fotogrammi di una vecchia pellicola, dove cinema e teatro si riflettono in un gioco di specchi. Due finzioni agli antipodi che ne inglobano una terza, la subdola realtà. Un fondersi di volti, di chiaro stampo bergmaniano, che si conclude con la foto in bianco e nero di Roberta Bosetti, un’attrice/persona che nella vita recita la parte di se stessa.

Il lento pianosequenza dei dettagli del tavolo inquadrato da Renato Cuocolo, come in un montaggio delle attrazioni, mostra frammenti evocati dalla narrazione di Roberta o viceversa stimola la voce al racconto. Se nel teatro è chiaro il ruolo centrale dell’attore, nel cinema è la macchina da presa a creare il linguaggio. Una contraddittorietà che svela la natura metacinematografica dello spettacolo, sottrazione tra maschera teatrale e filmica che restituisce la sola voce di Roberta come elemento autentico.

Una mise en scene che sovrappone l’intimità del quotidiano con una profonda riflessione sulla natura della finzione. Roberta Bosetti ha un teatro nella testa, come recita nel monologo, ed è superba a scardinare la narrativa autobiografica e a guidare gli spettatori dentro quel suo mondo, fatto di film già iniziati, dive in bianco e nero, sale cinematografiche avvolte nella nebbia di sigarette. La consequenzialità del racconto è frutto di un’originale drammaturgia scritta a quattro mani, che appare già matura, pulsante e ritmica. Saper cogliere i dettagli è il tratto distintivo della regia in stile filmico di Renato Cuocolo, attento direttore delle immagini che pervadono lo spettacolo di perturbante onirismo.

Una curiosità: è la prima volta che uno spettacolo di Cuocolo/Bosetti permette ad entrambi gli artisti di prendere gli applausi del pubblico. Impreparati, quasi imbarazzati, si sono sforzati in questa nuovo ruolo. Dovranno abituarcisi, se li meritano tutti.

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