La condanna della guerra in Virtù dell’oscurità

[rating=3] L’iniziale dissolversi dei personaggi come luce mangiata dal buio, promette bene. Apparizioni, uno svelto delinearsi delle figure a velocità frusciante, seguito da un secco scomparire: l’incipit è un bel momento visivo. Poi inizia la parte verbale, impegnata e impegnativa, tratta dal saggio di Virginia Woolf Le tre ghinee. Un testo che si presta alla forma del monologo, giustamente adottata anche in questa versione, e affidata all’attrice Elena Ghiaurov. Gli altri tre interpreti (Valentina Cipriani, Francesco Dendi, Antonella Miglioretto) hanno un ruolo di contorno, assumendo identità fisse e cangianti, ma limitandosi a compiere azioni ordinarie.

In un salotto dove gli oggetti da statici sembrano prendere vita con cambi di luce improvvisi, una donna è pronta a donare tre ghinee per finanziare tre associazioni che educhino a prevenire la guerra. Scritto poco prima dello scoppio del Secondo conflitto mondiale (1936-37), il saggio è un umile, disarmato inno alla pace e ai diritti universali, alla costruzione di una società più giusta. Il messaggio è potente, oggi più che mai, oggi che la democrazia è in pericolo, che la Costituzione italiana è considerata al pari di un pezzo d’antiquariato. Virginia Woolf  sembra quasi muovere una preghiera affinché nei colleges si insegnino materie che possano elevare lo spirito e trasmettere il senso della comunità e della convivenza civile: letteratura, musica, pittura, matematica, medicina. Condannando invece quelle che arricchiscono la violenza individuale, il narcisismo, l’aggressività: l’arte della guerra.

La lunga accusa alla sopraffazione dell’uomo sugli altri uomini e soprattutto alla costruzione di armi (vera e dolorosa, se si pensa a quanto sia remunerativa l’industria bellica, e quanto noi paesi occidentali ne siamo invischiati fino al collo), si lega anche a una riflessione sul ruolo della donna e sulla sua importanza nella società. Se tutte le operaie che lavorano nelle fabbriche dove si producono bombe scioperassero, secondo la Woolf potrebbe avvenire un cambio di rotta rivoluzionario. Più che l’uguaglianza fra i due sessi, la scrittrice anglosassone sembra affermare una certa superiorità della donna nei confronti nell’uomo. Ma soprattutto auspicarsi l’avvento di uno scambio, in cui l’uomo possa assorbire la nobiltà d’animo, e l’istinto femminile quasi naturale alla non-violenza.

Tutti pensieri tremendamente attuali, da assorbire e rielaborare, e che il Metastasio di Prato ha avuto il merito di produrre e mettere in scena, pur sotto una forma teatrale talvolta rallentata. La regia non concede picchi ma procede con incedere a tratti strascicante, tuttavia riuscendo a far emergere, come punti cardinali, i concetti fondamentali e toccanti dello spettacolo.

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