
[rating=4] Il 2015 è l’anno del Flauto magico: numerose fondazioni stanno programmando il titolo mozartiano, sempre con grande successo di pubblico. Giova evidenziare, non senza soddisfazione, il crescente interesse e richiamo suscitato dalla Zauberflöte che torna a incantare gli ascoltatori per il connubio di fiabesco ed educativo.
Al Teatro La Fenice l’opera manca dal 2006, dunque l’attesa si è da subito rivelata alta. A ciò s’aggiunga la grande curiosità destata dalla nuova messinscena firmata da Damiano Michieletto, come sempre affiancato dai raffinati Paolo Fantin, alle scene, e Carla Teti, ai costumi. L’ambientazione scolastica pervade l’allestimento che inserisce nel contesto formativo tutti i personaggi. Al Tamino scolaro, si affiancano il Papageno bidello, il Sarastro preside, la Regina della notte docente isterica (molto affine alle signorine ottocentesche, stile Rottermeier), la Papagena fanciullina inesperta e il Monostatos bulletto. L’idea della ciclicità in cui si inserisce il percorso iniziatico, che dalla realtà scolastica passa ad un mondo parallelo, con il medesimo istituto gestito però da differenti regole, è uno degli ingredienti peculiari dalla produzione. L’aula inziale, nella quale campeggia una grande lavagna utilizzata per proiettare via via formule, motti (“Si sedes non is, si non sedes is” il noto palindromo romano), immagini, si trasforma, all’uopo, in una fitta boscaglia e nella stanzetta, un po’ asettica, di Pamina. Il linguaggio di Michieletto è cosparso di messaggi che stimolano nel pubblico una serie di ragionamenti, necessari per afferrare pienamente i significati. Lungi dall’essere immediato, se non all’apparenza, il lavoro del regista pone l’accento su elementi caratteristici dell’umanità, culminanti nel rogo dei libri, momento evocativo di un funesto passato, troppo spesso ravvivato recentemente.
Al light designer Alessandro Carletti e ai video designers Carmen Zimmermann e Roland Horvath sono richiesti sforzi non indifferenti: il risultato appare pregevole ed encomiabile. L’esecuzione musicale è affidata ad un cast omogeneo che ha la sua guest star in Alex Esposito. Il baritono italiano si conferma ideale esecutore mozartiano riscuotendo, specie nei panni di Papageno, particolare successo. La camaleontica capacità di gestione dello spazio scenico gli consente di personalizzare la definizione dell’uccellatore: la naturalezza con cui rende umano il proprio personaggio, attenendosi alla visione complessiva di Michieletto, passa attraverso la grande capacità vocale, vivificata dal fraseggio ottimo e dalla piena padronanza espressiva.
Antonio Poli offre a Tamino il proprio suadente timbro, apprezzabile nella zona centrale, ma denota più di qualche difficoltà nell’ascesa all’acuto. Al contrario Goran Jurić, Sarastro, ha un’emissione stentorea che non maschera un eccessivo vibrato e alcuni limiti nella regione grave. Il basso sopperisce alle difficoltà evidenziate con una valida abilità attoriale. Marcello Nardis, Monostatos, è assai più credibile scenicamente che vocalmente (godibile la sua prova nei panni del bulletto fastidioso). Per quanto attiene il versante femminile, è sugli scudi Olga Pudova, riuscita Regina della notte. La cantante russa non teme l’impervia scrittura mozartiana e anzi, forte di una valida tecnica, affronta la parte dando una certa rotondità alla maligna genitrice. Meno credibile Ekaterina Sadovnikova, Pamina un po’ sterile, benché abbastanza precisa. Sempre peperina e divertentissima Caterina di Tonno, in quest’occasione impegnata come Papagena. Censurabile l’Oratore di Michael Leibundgut, mentre appaiono validi William Corrò (primo sacerdote e secondo armigero) e Federico Lepre (primo armigero e secondo sacerdote). Le tre dame, suore nella visione di Michieletto, affidate a Cristina Baggio, Rosa Bove e Silvia Regazzo sono vocalmente perfettibili. I tre geni, minatori/esploratori secondo la regia, sono altrettanti fanciulli del Münchner Knabenchor.
A guidare l’Orchestra del Teatro La Fenice, in ottima forma, è Antonello Manacorda, già chiamato a battezzare la trilogia Mozart-Da Ponte curata sempre da Michieletto. Il concertatore italiano dirige con freschezza la partitura e, salvo alcuni scollamenti con il palcoscenico, si dimostra intelligente interprete di questo repertorio, in particolare per la vena divertita e spigliata con cui si approccia alla narrazione. Discreta la prestazione del Coro, istruito da Ulisse Trabacchin. Gli scarsi applausi durante lo spettacolo, esplodono al termine in omaggio a tutti gli interpreti.