
Al San Babila, la prima de “L’inquilina del piano di sopra” ha riscosso un’ottima accoglienza da parte del pubblico. Né poteva essere altrimenti. La commedia di Pierre Chesnot è un vero e proprio meccanismo di precisione dell’arte della comicità, intelligente, brioso, leggero.
Già di per sé perfetto e ormai collaudato per ritmi e battute, ha avuto il pregio di una regia, quella di Stefano Artissunch, che ha saputo immergere le avventure grottesche dei due inquilini solitari, più o meno in conflitto con la propria solitudine, in un’atmosfera sognante e un po’ fuori dal tempo, in una calda estate parigina.
La ricca e azzeccata scenografia, pur nello spazio limitato del palcoscenico, ha avuto il pregio di curare ogni minimo particolare. L’appartamento dell’uomo, Bertrand, è sotto, quello di Sophie sopra. Lo spaccato con la ricostruzione, persino maniacale, dei due ambienti con arredi e suppellettili del tutto particolari fornisce già di per sé allo spettatore gli elementi utili a caratterizzare i protagonisti.
Bertrand con la porta blindata, dotata di una serie di allarmi per lo meno “fantasiosi”, le sue marionette, i suoi pupazzi, difende la sua intimità e il suo quieto vivere, dietro ricerche antropologiche paradossali. (Ad esempio, la scoperta di un popolo con una originale, quanto assurda, usanza dello ius primae noctis).
Sophie ha girato il mondo in lungo e in largo, ha una casa piena di souvenir etici e una cultura culinaria esotica che la porta a conoscere e preparare piatti decisamente troppo piccanti per palati occidentali ma finisce nella più terribile crisi per una donna, quella degli “anta”. Con la constatazione drammatica che, nonostante vari tentativi, non è riuscita a trovare l’uomo giusto e pensa sia arrivato il momento di farla finita.
Queste due solitudini però, naturalmente, sono destinate a compensarsi. E, infatti, Sophie, anche seguendo i consigli dell’amica Suzanne, alla quale telefona ogni tanto e che, teatralmente, consente la realizzazione di deliziosi e divertenti siparietti, si decide a scegliere il primo uomo che le capiterà sotto tiro per dare un senso alla propria vita.
Quest’uomo naturalmente è lo scorbutico Bertrand e la piéce si regge proprio sui tentativi maldestri di Sophie di suicidarsi e sui suoi approcci, altrettanto impacciati, per convincere l’uomo a frequentare il suo appartamento e cenare con lui, diventando la cavia dei suoi terribili e “roventi” intingoli orientali.
La storia ha una conclusione scontata perché Bertrand, dopo molti equivoci, tutti divertenti e grotteschi, cederà alle avancès di Sophie e i due finiranno per vincere la rispettive solitudini, in vista di una futura esistenza che si presenta piuttosto “affollata”, visto che la donna è in attesa di tre gemelli. Mentre Suzanne che si divertiva in vacanza folleggiando con diversi uomini, ora è lei a trovarsi sola e sull’orlo della crisi dei “quaranta” con annessa pulsione suicida…
Una considerazione generale, se può tornare utile. Nella commedia non si utilizza una volta il termine “single”. Quando l’autore la scrisse non era di moda. Oggi, se ne parla come di un fenomeno in crescita, come una scelta di vita precisa, uno status sociale da difendere, depurato da qualsiasi stigma negativo del passato. Anzi, il single è statisticamente definito come monofamiglia che nel nostro Paese sarebbe un fenomeno in continua crescita.
Oggi, con le dovute eccezioni, sembra che i “single” per scelta o “di ritorno” abbiano ideologicamente avuto il sopravvento: meccanismi narcisistici, amicizie social, libertà sessuale, scarso senso di responsabilità, attrazione verso esperienze ed emozioni forti portano a temere qualsiasi vincolo o progetto a lungo termine. L’individualismo ha vinto ma non è detto che abbia sconfitto la solitudine né portato più felicità.
Tornando alla rappresentazione scenica di Chesnot, ottima l’interpretazione di Gaia de Laurentiis, che ha trovato la chiave giusta per dare anima a una Sophie combattuta (spesso in dialogo con se stessa) ma anche ironica e autoironica. Buona la prestazione di Ugo Dighero, che indossa bene la maschera del burbero, e sa sfruttare nei tempi e modi giusti le sfumature di un testo davvero frizzante e ancora godibilissimo.
Brava Laura Graziosi nei panni di Suzanne. Ottime le scelte musicali, brani francesi d’epoca, e i pezzi popolari (a sottolineare l’origine dei piatti esotici che Sophie proponeva con enfasi al malcapitato Bertrand). Insomma uno spettacolo gradevole e divertente, ricco di battute intelligenti.