
[rating=4] E’ sempre un piacere assistere ad una commedia napoletana, ancor di più se sulla scena c’è un grande dello spettacolo e della tradizione comica napoletana come Carlo Giuffrè. Sono passati quasi 40 anni da quando il “silver boy” di Basta Guardarla, film leggendario di Luciano Salce sull’ambiente dell’avanspettacolo, cantava assieme a Maria Grazia Buccella, ma l’arte del mattatore Carlo Giuffrè non l’ha persa. La voce è un po’ più flebile di allora ma le movenze in scena, il brio e i ritmi necessari per interpretare questa commedia di Armando Curcio, sono quelle di sempre, che gli permettono di mettere ancora una volta in mostra un’interpretazione naturale e brillante.
La vicenda è ambientata a Napoli, nella casa del barone Ottavio e di sua moglie Aspasia. Ottavio è un moderno malato immaginario, prende medicine per ogni malessere e mangia solo in bianco da molti anni. I due coniugi, ormai anziani, sentono la mancanza di un figlio, di un erede. Spinto da questo sentimento, il barone incarica un investigatore di ritrovare un suo figlio illegittimo, nato 40 anni prima da una passione giovanile e prematrimoniale con una sciantosa (cantante-ballerina). Dalle tracce che vengono scoperte il barone arriva a dedurre che suo figlio è Vincenzo Esposito, il cuoco a suo servizio, un uomo di basso profilo morale e culturale, ladruncolo e bugiardo, che così viene “promosso” a rango di baroncino. Il barone Ottavio lascia da parte le medicine, sembra rifiorire e ordina da mangiare prelibatezze per sé e per il figlio ritrovato.
L’agenzia dichiara inseguito di aver sbagliato e che il vero figlio è un altro, un dipendente statale di terzo livello un po’ tonto, con la passione di comporre rime estemporaneamente. Il padre ha molti dubbi su chi sia realmente il figlio, almeno fino a quando non scopre che suo figlio deve avere nel sedere una “voglia”. Questa si scopre essere sopra al sedere del cuoco. Potrebbe finire così ma nel finale il superficiale cuoco sviluppa uno straordinario pensiero che, se pur in maniera leggera, affronta il tema della precarietà della vita e della fortuna dell’uomo, prendendo una decisione a sorpresa: pianta tutto, ruba l’argenteria e se ne torna a fare lo scugnizzo di strada. Ottavio ricade nella sua ipocondria, ricomincia a prendere medicine e a mangiare in bianco.
Una commedia dal ritmo scrosciante, leggera e a tratti malinconica che si basa sulla comicità dell’equivoco, esaltata dalle eccellenti interpretazioni di Carlo Giuffrè e Angela Pagano, ricche di tecnica attoriale, tempi comici e sfumature vivaci, che affondano le proprie radici nell’inesauribile tradizione del teatro comico napoletano.
Da sottolineare la prova di Ernesto Lama nei panni del cuoco, ladruncolo, nonché figlio ritrovato del barone. Vero e proprio giullare dello spettacolo e dotato di un’irresistibile vis comica, assieme a Giuffrè mette in piedi una serie di variopinte gag, tra giochi linguistici, deformazioni di parole e un bel dialetto partenopeo che catturano il pubblico e lo trascinano in piacevoli risate.
Tutti gli attori del cast sono ben calati nelle loro parti e si muovono alla perfezione all’interno della scena, mantenendo elevato il ritmo della farsa con una catena di battute, malintesi, equivoci, freddure in dialetto e in rima, musica e scenette esilaranti.
La scenografia è essenziale, tutto è ambientato all’interno di una bella sala da pranzo di una casa napoletana dei primi del Novecento, con un tavolo, sedie, credenza, poltrone, radio e una portafinestra che dà su un balcone. La musica che ogni tanto si ascolta dalla radio accesa, è quella delle prime trasmissioni radiofoniche, da alcuni spettatori riconosciuta e canticchiata nel silenzio della scena.
Giovanni Raboni in un articolo dell’89 sul Corriere della Sera, relativo ad un’antecedente messa in scena di Carlo Giuffrè dei Casi sono due scriveva: «…Giuffrè ne ha tirato fuori un capolavoro di intelligenza, di comicità pacatamente irresistibile, di scintillante malinconia », a distanza di 20 anni le sensazioni restano le stesse. Si esce dallo spettacolo e dal teatro divertiti, sorridenti e riflessivi.
Ancora una volta Giuffrè ha colto nel segno, ha fatto divertire lo spettatore in maniera piacevole e intelligente, con quella punta di malinconia che fa da stimolo per accese domande e discussioni post-spettacolo.