
[rating=4] C’è un momento, talvolta insopportabilmente lungo e straziante che accompagna certe anime all’ultimo sofferto giorno della loro esistenza. È quel passo lento dei flemmatici, l’onda lunga che si srotola a fatica, la primavera che si attarda in un marzo piovoso: è l’attesa, l’attesa della fine di qualcosa.
Fausto Paravidino, uno dei più brillanti talenti teatrali del nostro tempo, ha deciso di raccontare ne “Il diario di Maria Pia” questa strana e perversa sospensione e per farlo sceglie la degenza ospedaliera di sua mamma, colta dal “tremendo male” che mangia le ore piano, da bravo killer silenzioso.
La mise en scene di una donna che detta al figlio le sue considerazioni sulla vita e la morte in un momento simile, parrebbe portarci sull’accidentato terreno della tragedia, ma qui il dramma saltella leggero, con un velo di humor calato deliziosamente sulla sorella Marta e sulle battute incredibilmente sincere della protagonista.
La scena nuda è tutta giocata sul dialogo che non delude fra la bravissima Monica Samassa (Maria Pia), Fausto che interpreta sé stesso e Iris Fusetti, irresistibile nei panni della sorella che tradisce qui e lì certe esacerbazioni da buon fratello scrittore che sa come vendicarsi.
Una bella pièce intimista, melanconica e saggia, piena di un vuoto di senso sulla vita che ci abbandona e di tanti perché galleggianti rimasti a mezzaria come farfalle dispettose, che non si lasciano acchiappare dai sopravvissuti. Bello.