
[rating=4] Lei è una sessantenne ex croupier di origine tedesca che ha girato il mondo sulle navi da crociera. Bella, elegante, disillusa. Lui è un ex operaio riminese rimasto senza lavoro, semplice, simpatico, senza il becco di un quattrino. L’incontro avviene sul palco del Fabbricone di Prato, addobbato con una raffinata scenografia simmetrica, fatta di rosso pompeiano e argenteria che ricrea la casa di Lise, una strepitosa e affascinante Pamela Villoresi. Lei attende al buio, su un divano al centro della scena, l’arrivo di un disperato qualsiasi che voglia svaligiarle la casa, magari attratto dalla finestra lasciata volutamente aperta. Adelmo aspetta l’occasione per rubacchiare qualcosa, sbarcare il lunario, nota la finestra aperta e, come se questa lo chiamasse, si introduce nella casa. La conoscenza tra i due personaggi nasce così, al buio, ognuno mosso da un desiderio e un’esigenza pulsante. Appena la scena si rischiara, il ritmo e l’anima dello spettacolo fanno il loro ingresso definitivo e dalle prime battute si capisce quello a cui andremo incontro: una farsa ironica, sopra le righe, un brusio di pensieri ad alta voce, un piccolo sciame di api che svolazza per i campi alla ricerca di nettare.
Pamela Villoresi si muove sul palco come una pantera, sinuosa, morbida, marcando ogni movimento con una forza e una plasticità che non fanno rimpiangere la tradizione della commedia dell’arte, riarrangiata in uno stile cabarettistico, contemporaneo. E’ semplicemente grandiosa in questo ruolo di femme fatale sola, ricca, una “regina della menzogna”, come ama definirsi.
Lise invita Adelmo a rubare tranquillamente tutto quello che trova, gli oggetti di valore in bella vista sul tavolo, e si fa volentieri legare da lui, un divertente Claudio Casadio. Continuamente disturbato nell’operazione dalla telefonata della sua donna, Lise e Adelmo si svelano lentamente l’uno all’altra, togliendosi gli abiti dell’apparenza.
I due personaggi sono anime parallele, opposte e simili, con dolori diversi, diversi punti deboli.
Se il gioco d’azzardo è il mondo dove Lise ha navigato per tutta la vita, ingannando con il suo sorriso i poveri illusi che si avvicinavano al casinò delle navi da crociera, Adelmo è figlio di una Rimini ruspante, dove la vita acquista valore con la fabbrica, la sala da ballo, una donna accanto. La vita è quello che corre tra la nascita e la morte per Adelmo, finché la crisi economica e il licenziamento sconquassano il ciclo regolare della sua esistenza.
Il rischio, l’amore per il denaro, il successo sono nel Dna della “tedeschina”, come la chiama lui, a cui il mondo non deve nulla. I rapporti, dice Lise, sulle navi si sfilacciano, si impara a stare circondati dal mondo, ma soli. E mentre gli uomini perdono la testa per lei, lei perde la testa per un solo uomo, Fernando, un ballerino di mambo, l’unico che riesce a farla ridere sul serio. Quando lui l’abbandona, lei sbarca a Rimini e si stabilisce sulla terra ferma, comprando la casa dove Adelmo la trova sul divano rosso. Ma una sgualdrina la incanta con le sue lusinghe e le gioca un brutto tiro, convincendola a investire in derivati e lasciandola sul lastrico: la banca. Alla prospettiva di dover vivere con soli centomila euro per sempre, Lise preferisce la morte e cerca disperatamente di convincere Adelmo a ucciderla, ricompensandolo con i suoi soldi.
Il gioco si fa pericoloso, diventa un gioco d’azzardo in cui entrambi i personaggi vogliono vincere. Adelmo, innamoratosi lentamente di Lise, attratto dalla sua femminilità piena di intelligenza, fiuta il guadagno ma ripudia l’idea dell’omicidio e tenta, con le sue piccole risorse, di convincerla a rinunciare al piano. Lei, impigliata nel terrore di vivere una vita mediocre, ormai abituata a stare al centro della pedana, non riesce a concepire un volgare futuro di sacrifici, ai margini. Il finale vede la bella Lise legata al divano, e la voce della donna di Adelmo che racconta di aver accettato la sua offerta, togliendole la vita. Adelmo chiude lo spettacolo con un monologo in cui svela di aver lasciato Rimini dopo la morte di Lise e di volersi imbarcare su una nave da crociera. Toccante nota di commozione.
Il mondo non mi deve nulla, tratto dal libro omonimo di Massimo Carlotto, è diretto dalla regia di Francesco Zecca, che con una mano fresca come brezza marina dirige il ballo in scena, mai noioso, mai volgare, sempre sull’attenti, generoso con lo spettatore. La tristezza sottile che attraversa lo spettacolo è come incontrare un amico di vecchia data, in una circostanza in cui si sente molto comodi. Pochi ma efficaci colpi di scena scandiscono lo spettacolo, interrotto di tanto in tanto dalla proiezione di disegni su un telo che cala come un sipario, una tecnica che ultimamente si vede spesso, soprattutto nel mondo anglosassone, e regala un’atmosfera di fiaba, prontamente smentita dalla trama.
Pamela Villoresi conduce la danza come una ballerina di mambo, con le sue mani e braccia sempre al posto giusto, il suo corpo snodato che parla di un personaggio che per tutta la vita ha saputo ingannare gli altri ma anche amare e che, parole sue, “non riesce più a provare paura”, nemmeno della morte. Claudio Casadio conquista con l’ultimo, dissalato monologo, dolce come una lenta marea, che fa venire voglia di vivere. Luci, musiche, una scenografia meravigliosa completano l’idillio. Finalmente uno spettacolo agrodolce, non banale, che fa divertire e lascia un retrogusto multisapore.