I dadi da brodo e Maria Corazza, una leggenda tutta bolognese

[rating=3] Al museo del patrimonio industriale di Bologna c’è un filmato che spiega come venne reinventata la macchina per confezionare i dadi da brodo: da questa intuizione geniale partì tutta una serie di scoperte ma soprattutto un fermento di piccole imprese che ha creato, negli ultimi 70 anni, la Packaging Valley nella quale si trova Bologna. Com’è noto, questo settore industriale si occupa degli imballaggi e delle confezioni dei beni di consumo, con applicazioni in campo farmaceutico (blister, tubetti, confezioni per fiale, etc), alimentare (caramelle, torroncini, etc), cosmetico, e più in generale di ogni bene che deve essere imballato e/o che richiede una confezione accattivante per attirare gli acquirenti.
Questa invenzione è stata storicamente attribuita a Maria Corazza che, insieme al marito Natalino, è entrata a far parte delle leggende bolognesi appunto per questo: ha lanciato un seme che, nella florida terra bolognese, ha attecchito.

Lo spettacolo si chiede cosa ha portato la valle bolognese ad essere così ricettiva per l’idea di Maria, ricostruendo la storia da prima del 1700, dove “gli operosi omini”, descritti quasi come formichine instancabili, già avevano inventato un prodotto venduto in tutto il mondo: il telo Bologna. Ed è bello vedere come un’idea trasformi tutto e tutti, le acque del fiume Reno venivano sfruttate per trarne il movimento tramite mulini (da cui deriva anche il nome del teatro delle Moline) e i bolognesi iniziarono a fare impresa “casalinga”: per produrre il prezioso tessuto le loro case custodivano telai alti talvolta fino a soffitto. Le finestre venivano murate per non far trapelare i segreti industriali che ogni imprenditore utilizzava, ma questi “segreti passano come l’acqua del canale”. Gli aneddoti raccontati sono molto interessanti, si rivivono e si respirano quei tempi andati in modo non scolastico, ma ironico e riflessivo. Anche l’uso degli oggetti in scena è azzeccato, come una sedia capovolta che diventa Bologna con le sue tante torri, e il banco degli attrezzi che si trasforma in un pulpito sul quale salire ma anche una specie di “batteria” per testare la musicalità di martelli e pinze. Le improvvisazioni al pianoforte di Daniele Furlati scandiscono oltre al passare del tempo, anche il variare delle situazioni, come quando Marinella Manicardi si trasforma nella città di Bologna, descrivendo la valle dove si trova e le vicissitudini storiche dell’epoca. E le citazioni sono molte: dalla prima università d’Italia, alla storica famiglia Bentivoglio con nello stemma disegnata una sega, al noto Istituto Tecnico Industriale Aldini Valeriani che trasformava i bolognesi “da contadini a tecnici specializzati” per la nascente industria e, in molti casi, generava piccoli e medi imprenditori. Tutto questo prepara il terreno al seme, all’idea che ha Maria: una macchina in grado di creare il dado da brodo così come lo conosciamo oggi, mentre in precedenza si doveva ricavare da un cartoccio di glutammato.

I personaggi rievocati in questa pièce sono immersi nella loro quotidianità, passeggiano per le strade di Bologna e si chiedono se San Petronio è turco o greco: non sono esaltate le loro caratteristiche geniali ma la loro umanità terrena. Sono persone semplici che messe in determinate condizioni favorevoli possono creare qualcosa di incredibile. In tutto ciò ha un ruolo cruciale la coesione delle persone che si oppone all’odierno individualismo, come ad esempio nell’interazione della manualità maschile con l’idea generata da un bisogno femminile, oppure del provvidenziale aiuto del salumiere che presta ai coniugi Corazza i primi soldi per finanziare la loro nuova idea di impresa. Sembrano racconti lontani, sperduti nel tempo, ma in fin dei conti sono forieri di speranza: la Packaging Valley è ancora un terreno fertile per le nuove idee, basta avere umiltà, coesione e un pizzico di fortuna.

Nel piccolo e intimo teatro delle Moline sembra quasi di stare in un salotto a sorseggiare del tè al calduccio di un caminetto: la padrona di casa sta raccontando una storia che le sta a cuore e l’intimità che si respira fa pensare che forse il giorno dopo ce ne racconterà un’altra. Marinella Manicardi è molto brava ad intrattenerci, a guardarci dritti negli occhi, a coinvolgerci con domande dirette ma anche a spaziare dalla meccanica all’anatomia, e soprattutto a scaldarci con le sue parole. Nello spazio si muove bene, è sempre molto vera, e oltre a tutto ciò ha scritto il testo insieme a Federica Iacobelli e ha curato la regia! Daniele Furlati è bravo nelle sue improvvisazioni al pianoforte, meno nei movimenti sul palcoscenico: pensa a che movimenti deve compiere e si vede. Niente che un po’ di “allenamento al palcoscenico” non possa eliminare.

Consigliata la prenotazione per questo spettacolo interessante che il pubblico ha dimostrato di gradire molto.

Prossimamente pubblicheremo l’intervista che ci ha gentilmente concesso Marinella Manicardi. Leggi l’intervista.

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