
[rating=3] Un triangolo di ferro caldo scorre sopra la stoffa creando un fruscio appena percettibile; l’asse da stiro campeggia nel centro di un salotto squallido, con tre sedie una diversa dall’altra e un divano polveroso. Il telefono incastrato fra la guancia e la spalla di Maria, intercetta i suoi ansimi, le sue provocanti parole da chat erotica. Il contrasto evidente fra le frasi “sono tutta nuda” e la sua mise da perfetta massaia crea subito ilarità, che ben presto si accompagna alla disperazione per il disagio economico: Maria non riesce ad arrivare alla fine del mese, vive in quella casa fatiscente insieme a suo fratello Sergio, si è ormai rassegnata, “tutti i giorni co’ ‘st’ansia de nun fajela!”. Sergio invece è più ottimista, è l’autentico romanaccio un po’ spensierato, fa il centurione attorno al Colosseo e ogni tanto piccoli lavoretti da imbianchino, poteva essere ricco con il suo ex lavoro di stuntman ma si è fatto male (uno stuntman che si fa male…), e sta ancora aspettando il risarcimento per l’infortunio che probabilmente non arriverà mai. Il rapporto tra loro, più che tra fratello e sorella, sembra fra marito e moglie, e non stupisce che nella prima stesura del testo fosse proprio così. I due personaggi non sono “persone comuni”, fanno lavori particolari e vivono emozioni estreme da povertà e abbrutimento sociale, e questo è uno dei punti di forza della commedia: si critica la grettezza, l’intolleranza e il qualunquismo della società in modo pesante ma colpendone gli estremi, le persone nelle quali è più difficile, per il pubblico, immedesimarsi. Queste critiche poi filtrano per osmosi nello spettatore, che insieme alle risate per le battute in “romanaccio stretto”, riflette anche sulla condizione umana dei protagonisti. L’equilibrio viene squarciato dall’arrivo di Milan, un altro personaggio estremo, bielorusso, laureato, tuttofare, morto di fame ma persona di cultura, che vorrebbe anche lui fare il centurione per procacciarsi da vivere. Ovviamente Sergio lo sfrutta come se fosse il suo schiavo, approfitta delle sue debolezze e della sua inguaribile energia positiva che può arrivare solo dall’esterno, forse solo dall’estero. Maria invece se ne invaghisce, ritornando a vedere la vita in modo meno grigio.
Il menefreghismo iniziale di Sergio e Maria per gli altri, percepiti come minacce, soprattutto per gli stranieri, i diversi, viene stemperato mano a mano che Milan entra nei loro cuori con un comportamento infantile, dolce e remissivo. Le situazioni comiche sono molte, per le diverse usanze e costumi ma anche per le situazioni che si vengono a creare, come quando Milan si ammala e qualcuno deve pur dargli la supposta per farlo guarire. Nel finale, purtroppo telefonato dal ferro da stiro iniziale di Maria, si ha un totale regresso alla grettezza più profonda, l’amicizia che stava nascendo viene recisa senza ripensamenti e le ultime frasi dello spettacolo sono come coltellate nella schiena a tutti i miglioramenti della loro condizione di vita ma soprattutto del loro animo per mezzo del nuovo arrivato.
In quest’ottica, i celeberrimi versi della canzone che chiude lo spettacolo “Grazie Roma” di Venditti, forse in modo non voluto, sembra che ringrazino ironicamente Roma e la romanità di averci resi così insensibili e diffidenti rispetto allo straniero, da sempre sfruttato come uno schiavo.
Il titolo “Ben Hur” appare forzato così come le immagini che separano un quadro dello spettacolo dal successivo, proiezioni delle corse con le bighe del famoso film capolavoro del ’59.
Nicola Pistoia è bravo e completamente a suo agio nel ruolo un po’ da “sfigato” di Sergio. Fanno ridere i suoi modi, gli atteggiamenti, la sua romanità e pure le sue espressioni facciali. Paolo Triestino fa ancora meglio, porta in scena uno straniero perfetto, quando ringrazia il pubblico alla fine dello spettacolo quasi ci si stupisce che sia romano. Il suo lavoro denota molta più fatica rispetto a Nicola, che sembra agire quasi d’istinto: si vede la ricerca e la difficile immedesimazione nel personaggio, anche con l’aiuto di uno bielorusso vero. La Maria di Elisabetta De Vito è vera sia quando è depressa sia quando rivede un barlume di luce grazie a Milan, tanto da risultare ancora più incisiva nel finale, determinata e cattiva.
Uno spettacolo interessante, dai risvolti comici che bene si intervallano alle riflessioni e alle condanne.
Curiosità: è interessante notare come le regole del marketing stiano entrando anche nelle compagnie teatrali. Per questo spettacolo si opta per un’unica data al Duse di Bologna al prezzo abbordabile di 10 €, con all’uscita un interessante fascicolo dello spettacolo, acquistabile per 10 €, contenente il testo, interviste, retroscena e approfondimenti vari (come ad esempio l’intervista al bielorusso che ha aiutato Paolo Triestino ad entrare nel suo personaggio). Un modo molto carino e azzeccato di avvicinare le persone al mondo teatrale e di creare legami duraturi con il pubblico.